Scheda vita e opere su Einstein

La sua vita

     Albert Einstein nacque ad Ulma (Würtemberg) il 14 marzo 1879 da modesta famiglia ebraica. Non si trovano nella sua fanciullezza indizi di facoltà straordinarie: invano si cercherebbero i segni premonitori di quella genialità che dopo proruppe, possente e generosa, nella sua giovinezza. I suoi primi studi furono nel ginnasio a Monaco di Baviera ed apprese i primi rudimenti matematici da uno zio ingegnere. Pur manifestando una spiccata attitudine alle scienze esatte, non si distinse per meriti singolari. « Sembra che abbia ottime qualità, non e pero molto incline allo studio », questo fu il giudizio di uno dei suoi professori. Compiuti gli studi al Politecnico· di Zurigo, si impiego all'Ufficio Brevetti della Confederazione Svizzera. Gli anni dal 1902 al 1909 rappresentano il periodo della sua più intensa produzione scientifica. La pubblicazione dei fondamenti della teoria ristretta della relatività (1905) gli valse nel1912 la nomina a professore ordinario di matematiche superiori al Politecnico di Zurigo. Nel Novembre 1913 ottenne la cattedra di fisica all'accademia prussiana delle scienze a Berlino e nella Primavera del 1914 fu chiamato a dirigere il Kaiser-Wilhelm-Institut per la fisica.

     In seguito al tragico avvento di Hitler ed alle conseguenti persecuzioni razziali, Einstein fu costretto a lasciare l'Europa per stabilirsi negli Stati Uniti. A Princeton, presso l'Institute for Advanced Study, soggiorno sino alla data della sua morte, il18 aprile del 1955.

     In una serie numerosissima di scritti, saggi di vario argomento, articoli, interviste, lettere e testi di conferenze si delinea assai chiaramente. la figura dell'uomo Albert Einstein. Acutissimo senso della liberta e della solidarietà umana, carattere pensoso e schivo dai gusti semplici di vita, si compiaceva di assumere talvolta comportamenti fortemente anticonformistici ed ironici. Sempre nei suoi scritti od interventi è presente un robusto senso del valore morale e del valore veritativo.

     In un articolo commemorativo del settantesimo compleanno, il biografo amico Philip Frank racconta di aver un giorno parlato ad Einstein di un giovane fisico che aveva pochissimo successo nel suo lavoro di ricerca.

     Quest'uomo affrontava con metodo e tenacia problemi che presentavano enormi difficoltà; adoperava un'analisi assai penetrante ma non riusciva ad altro che scoprire difficoltà sempre maggiori. Non era molto considerato dai suoi colleghi. Einstein, secondo quanta racconta Frank, rispose: « Ammiro questo tipo d'uomo. Ho poca pazienza con quegli scienziati che prendono una tavoletta di legno e, dopo aver guardato dove è più sottile, fanno un gran numero di buchi nei punti dove la perforazione è più agevole ».

     Questo aneddoto e assai importante perchè, attraverso l'allegoria della tavoletta, il Nostro riafferma iI superiore intento della ricerca del vero (anche se e il parziale vero scientifico) su quello dell' efficientismo, della notorietà acquisita spesso con scelte «occhiute» anziché veramente « intelligenti ». In quanto poi al conformismo che misura, per così dire, la valenza di un pensatore dal numero delle ore da lui pubblicate (i molti buchi nella tavoletta), si consideri questo suo pensiero (da un'intervista sulla libertà ed il suo significato): «Lo sviluppo della scienza ed in generale delle attività creative dello spirito richiede ancora un altro genere di libertà, che può essere definito come libertà interiore. Questa libertà dello spirito consiste nell'indipendenza del pensiero dalle limitazioni imposte dai pregiudizi sociali e dall'autorità ed in genere dalla meccanica routine prodotta dalle abitudini inveterate. Questa libertà interiore è un raro dono della natura ed un degno obiettivo per l'individuo».

     Sempre prendendo spunto dall'aneddoto citato, è interessante porre l'accento sulla ripugnanza che Einstein nutriva per iI comportamento umano permeato dalla competitività. In un discorso tenuto ad Albany (N.Y.) nel 1936, Einstein stigmatizza tale comportamento. Dopo aver riconosciuto che il desiderio dell'approvazione e della stima altrui è connaturato all'uomo ed è un suo impulso, egli denuncia la sua degenerazione, per il tarlo dell'egoismo, con inevitabili effetti dannosi per l'individuo stesso e per la comunità. Ma soprattutto il Nostro aborrisce dalla teorizzazione della competitività che favorisce il suo diffondersi. « La teoria di Darwin sulla lotta per l'esistenza» egli dice « e sulla selezione ad essa connessa è stata da molti assunta come una autorizzazione ad incoraggiare 10 spirito di competizione. Alcuni hanno anche tentato in questo modo di provare in maniera pseudoscientifica la necessità di una lotta economica distruttiva nella competizione fra gli individui. Ma questo è errato, poiché l'uomo deve la sua forza, nella lotta per l'esistenza, al fatto di essere un animale sociale ... Pertanto ci si dovrebbe guardare dal predicare ai giovani, come scopo della vita, il successo nella sua accezione corrente. Infatti un uomo che ha avuto successo è colui che molto riceve dai suoi simili, incomparabilmente di più di quanto gli sarebbe dovuto per i servigi da lui resi a costoro. II valore di un uomo, tuttavia, si dovrebbe giudicare da ciò che egli da è non da ciò che egli riceve ».

     In età avanzata A. Einstein sentì in modo assai acuto e quasi doloroso i problemi centrali socio-politici dell'umanità, il problema della pace nel mondo e dell'avvenire del popolo ebraico. La generosità e la nobiltà di questi interventi sono presenti a noi tutti ancora oggi e costituiscono un autentico patrimonio della migliore testimonianza culturale del XX secolo.

     Nella sua vita comunque ricorre una costante riflessione filosofica sulla attività di scienziato. La convinzione, più volte presente nei suoi scritti, che la scienza nella sua totalità sia un mistero. E' sempre in lui vivo il senso della meraviglia, dello stupore nel senso che Platone dava a questa parola. Nei libro Come io vedo il mondo, pubblicato nel 1929, Einstein scrisse: « La cosa più bella che noi possiamo provare e il senso del mistero. Essa è la sorgente di tutta la vera arte e di tutta la scienza ... Sapere che ciò che è per noi impenetrabile esiste realmente manifestandosi come la più alta saggezza e la più radiosa bellezza che le nostre povere facoltà possono comprendere solo nelle forme pili primitive, questa conoscenza, questo sentimento e il centro della vera religiosità ». E' soprattutto con questi accenti che desideriamo ricordare la testimonianza di vita dell'uomo Albert Einstein.

 

La sua opera

« La ricerca e la lotta per la verità e la conoscenza sono tra le più alte qualità dell'uomo »

     
Manoscritto Einstein con la famosa formula E = m c 2

     Nell'accezione comune l'attività dello scienziato è collegata con l'avvenimento della scoperta. Si dice seguendo il senso comune: è la scoperta di un nuovo fenomeno naturale ciò che contraddistingue quella dello scienziato da altre attività umane; e tale credenza è diffusa anche in vasti ambienti culturali umanistici e letterari. In realtà non è così: la scoperta, anche se importante momento, non è il più dell'attività dello scienziato. Perché la scienza è ordine e ricerca di ordine; una teoria scientifica generale richiede uno sforzo di immaginazione, un'intuizione felice ed una potente elaborazione analitica per giungere ad una concezione che consenta di spiegare tutti i fatti naturali noti ed anticipare il più possibile di quelli ancora ignoti. Il giovane A. Einstein fornì la spiegazione completa dei cosiddetti fenomeni browniani, che aveva costituito un enigma per gli scienziati durante quasi ottantanni; tra il 1905 ed il 1911 sviluppò la teoria dei quanti giungendo alla spiegazione dell'effetto fotoelettrico: questi studi gli procurarono il premio Nobel per la fisica nel 1921. Ma la grandezza di Einstein consiste soprattutto nella fondazione della teoria della relatività con cui egli ha ordinato e stabilito su salda base la conoscenza attuale del mondo fisico. A riprova di quanto prima affermato su scienza e senso comune ed allo scopo di confronto, si consideri un uomo che ha goduto di grandissima fama, in questo secolo, per la scoperta delle comunicazioni me diante onde radio: Guglielmo Marconi. Se si toglie a questo scienziato l'invenzione dell'antenna radio e l'ostinazione a ritenere non impossibili le comunicazioni per onde che invece sarebbero state veramente tali senza l'intervento di un fatto (l'esistenza della ionosfera della Terra) che allora né lui né altri conoscevano, che cosa resta? Assai poco.

     Della scienza sono pilastri l'acquisizione oggettiva dei fatti sperimentali, l'elaborazione matematica dei modelli interpretativi e la tendenza all'unità nella sintesi, mediante un grande sforzo razionale, di distinte teorie in una concezione unica più generale. Ebbene, la grandezza di Einstein rifulge soprattutto in quest'ultima fase dell'attività di scienziato. Nel concepire la teoria della relatività egli è stato guidato da un senso estetico e in certo modo anche da un gusto di economia di pensiero. Riguardo al primo occorre ricordare che il bello è l'unione di più veri compresi dalla mente in un concetto; e come Einstein era stato affascinato, sui banchi di scuola, nell'apprendere l'intima unione che lega elettricità e magnetismo, così perseguì da adulto una sintesi, con il suo genio poderoso, dei fenomeni fisici mediante la sua teoria della relatività. Si potrebbe dire col Tommaseo: « L'artista e lo scienziato veri, se, lavorando anche a cosa praticamente utile, apparisce loro in cammino un concetto o un'immagine rilevante, si fermano a vagheggiarla senza punto considerare qual materiale utilità ne trarranno, anzi certi che son per averne scemamento di lucri e propriamente danni; ma l'asseguimento della verità e della bellezza è ad essi massimo vantaggio e suprema necessità ».

     In quanto al secondo è sempre costante in Einstein la convinzione del fine della scienza: l'unità e la compendiosità dei suoi contenuti. Mentre le assunzioni di base diventano sempre più astratte, più lontane dal cosiddetto « senso comune », al tempo stesso ci si avvicina alla meta che è quella di abbracciare per deduzione logica, con il minimo di ipotesi e di assiomi, il massimo di contenuti empirici. Relatività si può definire, nel modo più semplice, un insieme fondamentale di concetti, esposto già dal tempo di Galileo; essa ha subito una trasformazione profonda, soprattutto per opera di Einstein. Ogni fenomeno fisico può essere studiato e tradotto in una legge (di solito espressa in forma matematica) quando sia stato scelto, in modo arbitrario, un sistema di riferimento. Ad esempio la traiettoria della luna, nel suo moto di rivoluzione attorno alla terra, appare diversa se, per studiarla e descriverla graficamente, scelgo come riferimento « immobile » il suolo terrestre, o il centro del sole, o il centro della nostra galassia. Quindi tutti i fenomeni si devono considerare descritti sempre relativamente al sistema di riferimento; la relatività, in prima e rozza approssimazione, è riducibile a quest'unico concetto.

     Per tentare una sintesi, il più possibile essenziale ma anche lineare, delle varie tappe del pensiero relativistico einsteiniano, seguiamo una successione logica di ragionamenti e di annesse definizioni. Due osservatori analizzano il medesimo fenomeno fisico e ne deducono una legge. Per un momento ammettiamo che un osservatore sia immobile nell'universo (vedremo dopo che ciò non ha senso), mentre l'altro si muove, rispetto al primo, a) con un moto rettilineo uniforme oppure b) con un moto variabile in direzione ed entità in modo qualsiasi. Adottando il moto a) si definisce principio di relatività galileiana (Dialogo sopra i massimi sistemi, Giornata II) il seguente: « Per i due osservatori qualunque fenomeno, scelto nel campo della meccanica, è regolato dalla stessa legge »; sempre adottando il moto a) si definisce principio della relatività ristretta di Einstein il seguente: « Per i due osservatori qualunque fenomeno della fisica (non solo della meccanica) è regolato dalla stessa legge ». Adottando invece il moto b) si definisce principio di relatività generale di Einstein il seguente: « Per i due osservatori qualunque fenomeno della fisica è regolato dalla stessa legge ».

     Esaminiamo ora il principio di relatività galileiano. Nel Dialogo sopra i due massimi sistemi Galileo nota che se uno sperimentatore si trova su una nave, dotata di moto rettilineo ed uniforme, e non dispone di riferimenti esterni, non è in grado di stabilire solo con i suoi esperimenti meccanici se la nave è ferma o si muove. In parole « tecniche » moderne si dirà che la nave è « sistema di riferimento inerziale ». Tutto ciò ci consente intanto di respingere la provvisoria ipotesi precedente dall'osservatore immobile. Infatti non potremo mai distinguere con esperienze meccaniche quale sia l'osservatore fisso e quale l'osservatore mobile: possiamo soltanto parlare di due osservatori in moto relativo l'uno rispetto all'altro. Si suole introdurre le equazioni di trasformazione di Galileo, qualora si considerino i due osserva tori solidali a due terne cartesiane S ed S', aventi in comune le direzioni degli assi x ed x' (mentre gli assi y, y' e z, z' giacciono sempre sullo stesso piano), in moto relativo, con velo cità relativa v costante, l'uno rispetto all'altro (la velocità è diretta secondo x, x'). Con notazione matematica si scriverà (equazioni del gruppo di Galileo):

          x' = x – vt
          y' = y
          z' = z
          t' = t


Einstein e Infeld

Approfondimento

Sul concetto di simultaneità

     Le nostre considerazioni sono state finora svolte rispetto ad un particolare corpo di riferimento, a cui abbiamo dato il nome di « banchina ferroviaria ». Supponiamo che un treno molto lungo viaggi sulle rotaie con la velocità costante V e nella direzione indicata dalla figura. Le persone che viaggiano su questo treno useranno vantaggiosamente il treno come corpo di riferimento rigido (sistema di coordinate}; esse considerano tutti gli eventi in riferimento al treno. Ogni evento poi che ha luogo lungo la linea ferroviaria ha pure luogo in un determinato punto del treno. Anche la definizione di simultaneità può venir data rispetto al treno nello stesso preciso modo in cui venne data rispetto alla banchina.

     Ora però si presenta, come conseguenza naturale, la seguente domanda:

     Due eventi (ad esempio i due colpi di fulmine A e B ). che sono simultanei rispetto alla banchina ferroviaria, saranno tali anche rispetto al treno? Mostreremo subito che la risposta deve essere negativa.

     Allorché diciamo che i colpi di fulmine A e B sono simultanei rispetto alla banchina, intendiamo: i raggi di luce provenienti dai punti A e B dove cade il fulmine si incontrano l'uno con l'altro nel punto medio M dell'intervallo A - B della china. Ma gli eventi A e B corrispondono anche alle posizioni A e B sul treno. Sia il punto M il punto medio dell'intervallo A - B sul treno fn moto. Proprio quando si verificano i bagliori del fulmine, questo punto M' coincide naturalmente con il punto M, ma esso si muove verso la destra del diagramma con la velocità v del treno. Se un osservatore seduto in treno nella posizione M' non possedesse questa velocità, allora egli rimarrebbe permanentemente in M e i raggi di luce emessi dai bagliori del fulmine A e B lo raggiungerebbero simultaneamente, vale a dire si incontrerebbero proprio dove egli è situato. Tuttavia nella realtà (considerata con riferimento alla banchina ferroviaria), egli si muove rapidamente verso il raggio di luce che proviene da B, mentre corre avanti al raggio di luce che proviene da A Pertanto l'osservatore vedrà il raggio di luce emesso da B prima di vedere quello emesso da A. Gli osservatori che assumono il treno come loro corpo di riferimento debbono perciò giungere alla conclusione che il lampo di luce B ha avuto luogo prima del lampo dì luce A.

     Perveniamo così al seguente importante risultato: Gli eventi che sono simultanei rispetto alla banchina non sono simultanei rispetto al treno e viceversa (relatività della simultaneità). Ogni corpo di riferimento (sistema di coordinate) ha il suo proprio tempo particolare; una attribuzione di tempo è fornita di significato solo quando ci venga detto a quale corpo di riferimento tale attribuzione si riferisce.

     Le prime tre equazioni esprimono la variazione di posizione per un punto nello spazio quando lo si osservi dall'uno o dall'altro dei sistemi di riferimento, che scivolano l'uno sul l'altro con velocità relativa v; la quarta equazione afferma che il tempo è assoluto: su questo ritorneremo più tardi.

     Prima di esaminare il principio einsteiniano della relatività ristretta è bene ricordare la famosa questione dell'etere. L'esistenza di una sostanza invisibile, impalpabile, che permea l'intero universo era stata ammessa da molti autori, filosofi o scienziati, nei secoli. Questa ipotetica sostanza aveva essenzialmente il compito di trasmettere, da un punto all'altro del cosmo, alcune azioni né più né meno come l'aria trasmette le vibrazioni sonore. Vediamo, in un brevissimo excursus, i progressi della fisica da Newton in poi; oltre al trionfale sviluppo della meccanica, proprio del XVIII secolo, l'indagine fisica si era andata estendendo anche a molti altri fenomeni (ottici, termici, elettrici e magnetici). Appariva sempre più evidente che i fenomeni si potevano ricondurre a due grandi classi: quelli che riguardavano la materia e quelli relativi alle radiazioni. Nel periodo 1850-1900, allora, l'esistenza dell'etere cosmico assurgeva ad importanza essenziale, dal punto di vista teorico, in quanto permetteva di unificare le due classi prima dette: le radiazioni e la loro propagazione sarebbero state strettamente legate alle vibrazioni meccaniche, e quindi materiali, dell'etere. Tra il 1881 ed 1887 i fisici americani Michelson e Morley con una delicatissima esperienza misero in chiara evidenza la non esistenza del l'etere ed inoltre pervennero al seguente importantissimo risultato sperimentale: « la velocità della luce è identica in tutte le direzioni, indipendentemente dal moto della sorgente e del ricevitore della luce ». Conseguenza di questo importantissimo risultato è poi anche la falsificazione dell'esistenza di un osservatore immobile (cioè privilegiato), come prima si è accennato. Infatti se fosse stato possibile riconoscere l'esistenza dell'etere, sarebbe stato agevole definire anche un riferimento assoluto (appunto l'etere stazionario), cioè un sistema assolutamente fisso. Esaminiamo ora ciò che avveniva nel mondo dei ricercatori dei fenomeni magnetici ed elettrici. Il fisico A. Lorentz nell'ultimo decennio del XIX secolo sviluppò una completa teoria dei fenomeni elettrici che culminò in una celebre memoria del 1904 dal titolo « Fenomeni elettromagnetici in un sistema che si muove con qualsiasi velocità non raggiungente quella della luce ». In questo studio Lorentz, notando che le trasformazioni del gruppo di Galileo non lasciavano invariate le equazioni fondamentali dell'elettromagnetismo di Maxwell, ricercò un nuovo gruppo di trasformazioni che assolvessero questo compito. Egli non raggiunse esattamente l'obiettivo che si era prefisso; ma il grande H. Poincaré, che aveva avviato Lorentz su quella via molto generale, ne fu entusiasta e si affrettò a correggere la deficienza formale, che aveva impedito a Lorentz stesso di conseguire l'esattezza, formulando le definitive equazioni di trasformazione che denominò senz'altro le trasformazioni di Lorentz.

GRUPPO DI LORENTZ
c = 3 * 108 m/s (velocità della luce)

x' = x – vt / K

y' = y

z' = z

t' = (t - x (v/c 2 )) / K

     Questa la situazione nel 1905, quando Einstein pubblica la memoria « Sulla elettrodinamica dei corpi in movimento »; in essa è contenuta, in veste compendiosa, la relatività ristretta che si fonda sui due seguenti cardini. Il primo, già visto, si enuncia così: « Tutte le leggi della natura sono le stesse in tutti i sistemi di riferimento, in moto rettilineo uniforme gli uni rispetto agli altri ». Il secondo aggiunge: « La velocità della luce nello spazio vuoto è sempre la stessa, indipendentemente dal moto della sorgente o del ricevitore della luce ». Il genio di Einstein raduna tutti i descritti risultati, nella prospettiva dei due precedenti principi, in modo tale da rendere la conoscenza del mondo fisico un tutto armonico e semplice. Da una parte vi è il principio di Galileo, con le relative trasformazioni, valide per l'invarianza delle leggi meccaniche ma non di quelle elettromagnetiche; dall'altra vi sono le trasformazioni di Lorentz, valide per l'invarianza delle leggi elettromagnetiche ma non di quelle meccaniche. I due sistemi di equazioni di trasformazione sono incompatibili, se si resta nell'ambito della fisica classica ed in particolare della meccanica newtoniana; ma allora quale scegliere?

     Le equazioni di Maxwell, che sintetizzano mirabilmente tutti i fenomeni elettromagnetici, sono verificate dall'esperienza ad un grado di approssimazione assai superiore a quello delle leggi meccaniche. Einstein, nel solco luminosamente tracciato da Galileo, opta per l'assunzione del gruppo di Lorentz quale gruppo fondamentale (principio einsteiniano della relatività ristretta). Infatti il metodo galileiano ha il suo cardine nell'autorità dell'esperienza sensata. Ora però Einstein deve affrontare la falsificazione, con relativa correzione, della meccanica newtoniana, sottoponendone i concetti e le conclusioni ad una serrata critica.

     Confrontando i due sistemi di equazione relativi al gruppo di Galileo ed al gruppo di Lorentz, si constata che t = t' per il primo mentre ciò non è per il secondo, assunto come fondamentale. Per Galileo e Newton la simultaneità di due eventi è verificata qualunque sia il sistema di riferimento adottato: esiste cioè un tempo pubblico. Per Einstein invece il tempo non è indipendente dall'osservatore ma dipende dal suo moto nello spazio: esiste cioè un tempo privato. La definizione di massa inoltre può essere modificata in maniera opportuna: invece della massa costante della teoria newtoniana, Einstein propone una massa che varia al variare della velocità, essendo questa correzione piccola se la velocità è assai minore di quella della luce e non varia sensibilmente in un dato sistema di riferimento. Notando poi che l'energia cinetica è proporzionale alla massa, Einstein intuisce una relazione tra massa ed energia e, sulla base di altre considerazioni, perviene a formulare l'equazione notissima:

E = m c 2
Energia = Massa x (Velocità della luce) 2

     E' importantissimo osservare come i precedenti notevoli risultati siano stati teoricamente mirabilmente dedotti dal genio di Einstein. Oggigiorno, sulla base di una estesissima quantità di esperienze, possiamo a buon diritto affermare quanto felici siano state le intuizioni e le scelte einsteiniane e quanto esatte le correzioni apportate alla meccanica classica.

     Riflettere ancora sui precedenti risultati ci consente di comprendere a fondo il riordinamento e la successiva sintesi profonda operata da Einstein, mediante la relatività generale dal 1916 in poi. Sintetizziamo le conseguenze della relatività ristretta: 1) non sono separatamente assoluti né lo spazio né il tempo, perché passando da un osservatore inerziale ad un altro varia la distanza tra due punti dello spazio geometrico tridimensionale (contrazione relati vistica della lunghezza) e varia la durata di un fenomeno (dilatazione relativistica dei tempi); è invece assoluta la propagazione della luce e si assumono fondamentali le trasformazioni di Lorentz; 2) le leggi della meccanica classica devono essere modificate in modo da renderle invarianti rispetto a tali trasformazioni di Lorentz (rispetto alle quali le leggi di Maxwell sono già invarianti); 3) se due eventi coincidenti nel luogo, sono contemporanei rispetto ad un osservatore, non lo sono rispetto ad un altro in moto inerziale rispetto al primo (critica relativistica del concetto di contemporaneità tra due eventi). Tiriamo ora un'altra conse guenza di quanto detto prima. Un osservatore inerziale, solidale al suo sistema, si vale delle sue coordinate spaziali x, y, z e del suo tempo t, come anche un secondo osservatore inerziale, in moto uniforme e rettilineo rispetto al primo, si vale delle sue coordinate x', y', z' e del suo tempo t'. Grazie all'invarianza della propaga zione della luce è facile dimostrare che la quan tità

D = ( c 2 (t2 - t1) 2 - (x2 - x1) 2 - (y2 - y1) 2 - (z2 - z1) 2 )1/2

è invariante nel passaggio tra un osservatore e l'altro (essendo c = velocità della luce e x1 y1 z1 t1, x2 y2 z2 t2 due punti-eventi). Una interpretazione del 1908, avanzata dal matematico Minkowsky, proponeva la concezione di un iperspazio continuo quadridimensionale astratto, detto cronotopo, in cui ogni punto, o meglio punto-evento, è individuato dalle tre coordinate spaziali e dalla coordinata temporale t e la metrica (cioè il modo di misurare le distanze) è del tipo di quella indicata dalla formula precedente. Interessante osservare che Minkowsky si era forse ispirato ad una proposizione della Protologia del filosofo italiano V. Gioberti, che vale la pena di riportare qui: « II cronotopo è immenso ed eterno, senza divisione e moltiplicazione, immagine della immensità ed eternità divina. Istante e punto sono tutt'uno: ciò dimostra la unità del cronotopo, la cui sintesi di spazio e di tempo, è nel moto ... Come l'uomo trae dall'intuito dello spazio e del tempo la matematica, così Dio ne trae il mondo. La costruzione matematica è la più viva immagine della creazione divina. La realtà del cronotopo non è già subiettiva e umana come vuole Kant, ma obiettiva e divina ».

     Einstein accetta questa concezione di Minkowsky per fondare la sua relatività generale sul seguente principio: tutti i sistemi di riferimento devono essere equivalenti per la formulazione delle leggi fisiche. Sulla base delle precedenti considerazioni Einstein formula una teoria secondo la quale tutte le interazioni gravitazionali sono interpretate come il risultato della curvatura del cronotopo. Egli ricorre dal punto di vista analitico ai tensori ed al calcolo differenziale assoluto, il cui studio era stato iniziato e continuato principalmente dai matematici italiani (Ricci, Curbastro e Levi-Civita) proprio all'inizio del secolo. La teoria della relatività generale viene esplicitata in forma di un sistema di dieci equazioni differenziali del secondo ordine, la cui soluzione è in generale molto complessa.

     Era da prevedere, dal 1916 in poi, nel mondo scientifico internazionale, una grande attesa per le eventuali conferme sperimentali di questa affascinante e complessa teoria. Esse non tardarono a giungere, anche se restarono solo tre per lunghi anni (sino praticamente agli anni cinquanta). La prima prova è lo spostamento secolare del perielio di Mercurio; gli astronomi avevano osservato che l'elisse, che costituisce l'orbita di Mercurio, non rimane stazionaria ma ruota lentamente spostando il suo asse maggiore (e quindi il suo perielio) di un piccolissimo angolo nel corso di ogni rivoluzione. Considerato per un intervallo di cento anni detto spostamento angolare (chiamato perciò secolare) ammonta a 43" di arco. Non era stata avanzata alcuna spiegazione plausibile, nell'ambito della meccanica celeste classica, a detta anomalia di moto. Sulla base della relatività generale Einstein giustifica esattamente questa anomalia e fornisce una spiegazione che consente di calcolare tale spostamento angolare proprio intorno ai 43 secondi d'arco. La seconda prova è la flessione dei raggi luminosi in un campo gravitazionale. La teoria della relatività generale consente di prevedere che i raggi della luce debbano incurvarsi quando attra versano un campo gravitazionale. Le osservazioni astronomiche hanno abbondamente confermato — durante le eclissi totale di sole in cui è possibile effettuare questo rilievo sperimentale — che i raggi di luce provenienti da una stella, quando passano vicini al sole, vengono deviati di un piccolo angolo. L'entità di questo angolo di deflessione corrisponde a quello previsto dal calcolo. La terza prova è lo spostamento delle righe spettrali verso il rosso, sempre in campo gravitazionale. In altre parole un'onda elettromagnetica cambia frequenza in conseguenza del campo gravitazionale in cui si trova. Pertanto le righe spettrali, che appaiono negli spettri del sole e delle stelle, paragonate a quelle analoghe ottenute nei laboratori di chimica, risultano spostate verso il rosso, a causa del campo gravitazionale. A questo effetto si è data razionale spiegazione con la teoria della relatività generale.

     Dopo gli anni cinquanta le verifiche sperimentali si moltiplicarono sicché fisici ed astronomi si familiarizzarono con la relatività ge nerale, sia nelle ricerche concernenti il mi crocosmo sia in quelle riguardanti il macro cosmo.

     Per lunghi anni, praticamente sino alla morte nel 1955, Einstein tentò una sintesi ancor più poderosa di quella della relatività generale: la teoria unificata dei campi (ossia quello gravitazionale e quello elettromagnetico). Obiettivo di questa teoria generale era quello di unificare, su una comune base geometrica, i due campi precedenti. Einstein non riuscì a com pletare questa sintesi prima del 1955; con le conoscenze di oggi peraltro tale sintesi sarebbe stata giudicata parziale. Dovrebbero essere in trodotti infatti in essa i campi mesonici, ipe- ronici e quant'altri provengono dallo studio della meccanica quantistica ed ondulatoria. Ma ciò che più conta, in quest'ultima fase dell'opera einsteiniana, è l'incrollabile certezza che la conoscenza del mondo fisico, pur nella sua immensa complessità, sia riconducibile ad eleganti concezioni il più possibile unitarie e razionali.

 

 

La sua eredità

« La verità è ciò che resiste alla prova dell'esperienza »

     Albert Einstein verso la fine della sua vita. Anche negli ultimi anni si era dedicato al problema della pace. Nel 1950 il New York Post annunciava con grande rilievo la sua XV recisa presa di posizione contro la bomba H.

     Occorre distinguere tra eredità in campo scientifico nel senso proprio e nel campo del pensiero in generale. Per quanto riguarda il pensiero scientifico è ormai accettato da tutti che la scienza dell'universo nel suo insieme, ossia la cosmologia contemporanea, si basa su modelli teorici che derivano dalla relatività generale di Einstein. Si può affermare anzi che la cosmologia è entrata storicamente nella sua « fase galileiana » (per stabilire una analogia con la fisica nell'accezione storica consueta) proprio tra il 1920 ed il 1930, ossia quando hanno cominciato a svilupparsi ed a diffon dersi i modelli teorici einsteiniani. Da quella data ad oggi abbiamo assistito ad una rigogliosissima crescita di conoscenze teoriche e di interpretazioni che sono state confermate (ed alcune anche smentite) dalla grande massa di dati empirici posti a disposizione da un imponente sviluppo di mezzi tecnici. La cosmologia è oggi un'affascinante ed elegantissima branca del sapere ed il padre teorico è senz'altro Albert Einstein. Vi è poi la questione delle teorie unitarie; anche se la teoria unitaria einsteiniana del 1953 è stata criticata in quanto incompleta, essa è indiscutibilmente una pietra miliare di partenza: i ricercatori di oggi e di domani non possono e non potranno evitare di cimentarsi in questo assai arduo problema, che ormai è stato posto sul tappeto per sempre dal Nostro.

     In senso più largo e profondo, la revisione critica einsteiniana della scienza ha notevoli conseguenze gnoseologiche. La vecchia scienza, sia fisica, sia matematica, faceva spesso appello all'evidenza intuitiva, o sensibile, o razionale, per la fondazione dei suoi princìpi, ai quali si attribuiva perciò un indubitabile valore oggettivo. Per esempio, si ammetteva senz'altro che un corpo potesse muoversi nello spazio, conservando inalterata la sua forma e grandezza. Era l'abitudine della grossolana percezione dei corpi e della loro grossolana misura, a principio e fine del movimento, che forniva l'apparenza di questa rigidità, su cui si modellavano le figure dei solidi geometrici. Nessuno sospettava che vi potessero essere alterazioni piccolissime delle lunghezze e che l'unità di misura potesse subire anch'essa variazioni proporzionali in modo tale che il rapporto delle grandezze rimanesse in apparenza costante. Così come non vi è spazio assoluto, non vi è neanche il tempo assoluto, che è, in fondo, il tempo della nostra coscienza esteso a tutto l'universo. Einstein ci ha fatto toccare con mano che la misura del tempo varia secondo il soggetto e la sua concreta situazione. Soprattutto è falsa la divisione di spazio e di tempo come due forme indipendenti luna dall'altra. Lo spazio ed il tempo sono fusi (non confusi) nel cronotopo. La teoria di Einstein esclude la visione kantiana secondo cui tempo e spazio sono concetti o in tuizioni a priori. La gnoseologia come capitolo di certa filosofia moderna (cioè a partire dal XVII secolo) deve fare un po' i conti con la relatività; a meno di far rientrare la gnoseologia nel « corpus » della filosofia perenne e rimediare così ad uno dei grandi errori degli ultimi secoli (ma questo discorso è assai lungo e complesso).

     Per terminare, così come si era iniziato, l'inserto sull'uomo Alberto Einstein, è bello anche concludere in questo modo. Si è parlato, secondo varie prospettive della geometrizzazione eccessiva einsteiniana e della sua rigida visione cosmica necessitante. Si è voluto ricollegarla con le vedute del giovane Platone «...Dio geometrizza eternamente ...» e, in verità, alcune sue citazioni estimative di Spinoza sembrerebbero confermarla. Ma d'altra parte le appassionate affermazioni di adesione alle tre forme dell'essere (il vero, il buono, il bello), che si trovano disseminate in alcuni suoi scritti, ci consentono forse di sperare in un'ultima evoluzione della visione del mondo.

     E' allora bello pensare che Einstein, nella quiete delle sue giornate di Princeton, abbia intuito, oltre al Dio che geometrizza eternamente, anche il Dio della Tradizione dei suoi antenati: Dio che è l'Eterno e che dall'eterno ci ama.

     Gamow ha disegnato un esperimento ideale di ottica, del tipo di quelli immaginati da Einstein. Su di un razzo durante la fase di accelerazione i raggi di luce hanno una certa curvatura per effetto del campo gravitazionale.

 

     I risultati di esperimenti eseguiti in un sistema di riferimento accelerato (a) non si possono distinguere da quelli delle stesse esperienze eseguite in un campo gravitazionale uniforme (b) supposto che a e g avessero lo stesso valore.

 


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