Brano di Fermi sul senso del mistero

     Ecco come il più grande fisico italiano del novecento racconta di un suo incontro con persone semplici che però gli hanno testimoniato che il senso religioso appartiene a tutti gli uomini.


     Sono trascorsi molti anni, ma ricordo come fosse ieri. Ero giovanissimo, avevo l'illusione che l'intelligenza umana potesse arrivare a tutto. E perciò mi ero ingolfato negli studi oltre misura. Non bastandomi la lettura di molti libri, passavo metà della notte a meditare sulle questioni più astruse. Una fortissima nevrastenia mi obbligò a smettere; anzi a lasciare la città, piena di tentazioni per il mio cervello esaurito, e a rifugiarmi in una remota campagna umbra. Mi ero ridotto a una vita quasi vegetativa, ma non animalesca. Leggicchiavo un poco, pregavo, passeggiavo abbondantemente in mezzo alle floride campagne (era di maggio), contemplavo le messi folte e verdi screziate di papaveri, le file di pioppi che si stendevano lungo i canali, i monti azzurri che chiudevano l'orizzonte, le tranquille opere umane per i campi e nei casolari.

     Una sera, anzi una notte, mentre aspettavo il sonno tardo a venire, seduto sull'erba di un prato, ascoltavo le placide conversazioni di alcuni contadini lì presso, i quali dicevano cose molto semplici, ma non volgari né frivole, come suole accadere presso altri ceti. Il nostro contadino parla di rado e prende la parola per dire cose opportune, sensate e qualche volta sagge. Infine si tacquero, come se la maestà serena e solenne di quella notte italica, priva di luna, e folta di stelle, avesse versato su quei semplici spiriti un misterioso incanto.

     Ruppe il silenzio, ma non l'incanto, la voce grave di un grosso contadino, rozzo in apparenza, che stando disteso sul prato con gli occhi volti alle stelle, esclamò: «Come è bello! E pure c'è chi dice che Dio non esiste». Lo ripeto, quella frase del vecchio contadino in quel luogo, in quell'ora: dopo mesi di studi aridissimi, toccò tanto al vivo il mio animo che ricordo quella scena come se fosse ieri. Un eccelso profeta ebreo sentenziò, or sono tremila anni: «I cieli narrano la gloria di Dio». Uno dei più celebri filosofi dei tempi moderni scrisse: «Due cose mi riempiono il cuore di ammirazione e di reverenza: il cielo stellato sopra di me e la legge morale nel cuore». Quel contadino umbro non sapeva nemmeno leggere. Ma c'era in lui, custoditovi da una vita semplice e laboriosa, un breve angolo in cui scendeva la luce del Mistero, con una potenza non troppo inferiore a quella dei profeti e forse superiore a quella dei filosofi.

Enrico Fermi, citato in C. Fabro, Le prove dell'esistenza di Dio, La Scuola, Brescia 1990.

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