Alcuni discorsi di Papa
Giovanni Paolo II sulla scienza

Papa Giovanni Paolo II

     Vediamo tramite alcuni esempi tratti dalla vastità dei pronunciamenti del Papa come il Magistero della Chiesa affronta questo tema.


DISCORSO DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II
AI MEMBRI DELLA "EUROPEAN PHYSICAL SOCIETY"
31 marzo 1979
     Vorrei anzitutto esprimere la mia gratitudine a lei, Professore, per questa iniziativa di far visita oggi a me; non posso esprimere quanto sia grato per questa iniziativa, e per questa vostra presenza; essa è per me una continuazione delle mie esperienze che io ho fatto prima, quando ero ancora in Polonia, a Cracovia, quando per me era una cosa consueta incontrare gli scienziati, e specialmente i fisici, per diversi colloqui. Allora la giornata di oggi, e il nostro incontro, è per me una prima promessa che questo modo di agire, che questi incontri, avranno un loro futuro, che non appartengono solamente al mio passato, ma avranno un futuro su un altro piano. Sono inoltre tanto grato per quanto lei ha detto, e io penso che tutto quello che lei ha detto è stato piuttosto il discorso essenziale del nostro incontro. Ciò che posso dire io adesso sarà piuttosto qualche allusione, qualche riferimento. In verità, avendo la fortuna di incontrarmi oggi con voi, ho pensato che non ero preparato. Vorrei essere preparato maggiormente, ma mi sono detto: allora andiamo come è, come stiamo bisogna prendere un passo, una tappa e poi forse ci prepareremo insieme con incontri futuri. Ma devo dire che le cose che lei ha espresso sono veramente essenziali per il contenuto di questo nostro incontro perché sono i problemi fondamentali, i problemi della natura stessa della scienza, e poi i problemi della relazione della scienza e della fede, della religione; si tratta di problemi che non sono solamente problemi, diciamo interni della scienza, ma problemi di colui che è il soggetto, e che è il portatore, l’autore della scienza, e che con la scienza crea a se stesso un ambiente suo, crea poi un cosmo suo, un cosmo umano ai problemi dell’uomo. E così sono essenziali tutte le altre cose che lei ha espresso; ma sono specialmente felice che lei abbia detto che lo sforzo, che fa la scienza, forse sarà più felice che non lo sforzo che fanno altri, come per esempio i politici, i quali non hanno saputo ricostituire l’unità dell’Europa, del nostro continente, mentre invece gli scienziati, voi, siete convinti che la potrete ottenere. Allora io sono con gli scienziati, io sono con voi.

     Mi permetta, Professore, che io faccia adesso un cambio di lingua. Io voglio adesso esprimere il discorso mio in francese perché sarà forse più facile per tutti i partecipanti tradurre i miei sentimenti e poi alcune idee. Signore e Signori, son lieto di salutare in voi un gruppo di illustri scienziati, membri della Società Europea per la Fisica, della quale è presidente il prof. Antonino Zichichi. Questo incontro mi è particolarmente piacevole: giacché, pur essendo la mia formazione personale piuttosto umanistica, imperniata sulle questioni filosofiche, teologiche e morali, e pur dovendo dire che conosco ben poco la vostra disciplina, tuttavia le vostre preoccupazioni non mi sono estranee. Sarà stato forse un po’ strano, ma io ero sempre ben accolto dai fisici, dalle persone e dai professori che rappresentano la vostra professione, la vostra specializzazione; e pur sapendo sì poco dei vostri problemi mi trovavo piuttosto bene con loro: abbiamo potuto e saputo comprenderci.

     A Cracovia ho sempre cercato e trovato assai fruttuoso il contatto con il mondo scientifico e particolarmente con gli specialisti in scienze fisiche. Questo dice il significato, per me, dell’attuale momento che mi ricorda tanti altri incontri; in particolare, forse, quello con il “Club Roma” – i risultati dei lavori di questo Club sono assai noti presso di noi, in Polonia –. È vero che le circostanze non permettono di dare al presente incontro quell’aspetto di scambi personali che io tanto apprezzavo: tuttavia si cercherà di dare maggiormente, in avvenire, ai nostri incontri proprio questa forma di scambi personali.

     I problemi che vi siete posti durante questo incontro internazionale sono di grande importanza e attualità: potranno costituire un punto di riferimento per lo sviluppo della fisica moderna. Infatti avete trattato problemi scientifici assolutamente attuali: vanno dalle altissime energie per lo studio dei fenomeni subnucleari alla fusione nucleare, dai radiointerferometri astrofisici alla luce dei sincrotroni. Scusatemi se pronuncio queste parole e se non posso dare un significato personale a tutte queste espressioni, a siffatta terminologia. Ma tale è, penso, la nostra situazione in un mondo così specializzato: si perde la facilità di parlare tutte le lingue possibili, non solo le lingue in senso proprio ma anche le lingue in senso scientifico. Grazie alla conoscenza delle lingue classiche greco e latino si afferra un po’ quel che vogliono dire queste parole; ma il significato reale, la corrispondenza con le realtà indicate da tale terminologia, ebbene, siete voi che dovete illustrarla. La stessa vostra società, che comprende varie migliaia di fisici di ventotto nazioni d’Europa, costituisce un invito all’unità culturale di tutta la comunità dei paesi europei. Io non intendo, oggi, rivolgervi un profondo discorso, ma soltanto alcune osservazioni su un problema sempre nuovo e attuale: la reciproca posizione del sapere scientifico e della fede. Voi siete anzitutto dei ricercatori; devo dirvi che è una parola a me particolarmente cara. Ricercatori! Conviene sottolineare questa caratteristica della vostra attività e incoraggiare la giusta libertà della vostra ricerca, quanto al suo oggetto e al suo metodo, secondo “la legittima autonomia della cultura e specialmente della scienza”, così si esprime il Concilio Vaticano II (Gaudium et Spes, 59). Devo dirvi che questo paragrafo della "Gaudium et Spes" è per me davvero importante. La scienza, in se stessa, è buona giacché è conoscenza del mondo che è buono: la Genesi dice che Dio l’ha creato e guardato con soddisfazione: “Dio vide che quanto aveva creato era buono” (Gen 1,31). Io sono molto affezionato al primo capitolo della Genesi. Il peccato originale non ha davvero alterato completamente quella bontà iniziale; e la conoscenza umana è un modo di partecipare al sapere del Creatore: essa costituisce, dunque, un primo gradino nella somiglianza dell’uomo con Dio, un atto di rispetto verso lui, giacché tutto ciò che scopriamo rende omaggio alla verità iniziale.

     Lo scienziato scopre ignote energie dell’universo e le pone a servizio dell’uomo: dunque con il suo lavoro deve far crescere ad un tempo l’uomo e la natura; deve umanizzare ancora più l’uomo rispettando e perfezionando la natura. L’universo è armonico in tutte le sue parti e ogni squilibrio ecologico comporta un danno per l’uomo: lo scienziato, perciò, non tratterà da schiava la natura, ma quasi ispirandosi al Cantico delle creature di San Francesco d’Assisi la guarderà piuttosto come una sorella invitata a cooperare con lui nell’aprire nuove vie al progresso dell’umanità.

     Tuttavia questo cammino non può percorrersi senza il concorso della tecnica, della tecnologia, che rendono efficace la ricerca scientifica. Permettetemi di riferirmi alla mia recente Enciclica Redemptor Hominis: là ho ricordato la necessità di una regola morale e dell’etica che permettono all’uomo di trar profitto dalle applicazioni pratiche della ricerca scientifica; là ho parlato della fondamentale questione relativa alla profonda inquietudine dell’uomo contemporaneo: “Questo progresso, di cui l’uomo è autore e difensore, rende la vita umana sulla terra “più umana” sotto tutti i punti di vista? La rende “più degna dell’uomo?” (cfr. Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis, 15).

     Non v’è dubbio che, sotto molti aspetti, il progresso tecnico nato dalle scoperte scientifiche aiuta l’uomo a risolvere problemi gravissimi: l’alimentazione, l’energia, la lotta contro certe malattie diffuse soprattutto nei paesi del terzo mondo. Vi sono anche quei grandi progetti europei dei quali ha trattato il vostro seminario internazionale e che non possono venir risolti senza la ricerca scientifica e tecnica. Ma è anche vero che l’uomo, oggi, è vittima di una grande paura, come se fosse minacciato da quanto egli fabbrica, dai risultati del suo lavoro e dall’uso che ne fa. Per impedire che scienza e tecnica siano asservite alla volontà di dominio di poteri tirannici, sia politici che economici, e per ordinare positivamente scienza e tecnica all’utile dell’uomo occorre un supplemento d’anima, come suol dirsi, un soffio nuovo dello spirito, una fedeltà alle norme morali che regolano la vita dell’uomo.

     Tocca agli uomini di scienza delle differenti discipline in particolare a voi, fisici, che avete scoperto energie d’immensa portata utilizzare tutto il vostro prestigio perché le implicanze scientifiche si sottomettano alle norme morali in vista della protezione e dello sviluppo della vita umana.

     Una comunità scientifica come la vostra che riunisce scienziati di tutti i paesi d’Europa e di ogni convinzione religiosa, può cooperare in modo singolare alla causa della pace: davvero la scienza oltrepassa le frontiere politiche; l’avete detto voi poco fa e lo esige, soprattutto oggi, una collaborazione di carattere mondiale.

     Voi offrite agli specialisti un ideale luogo d’incontri e di scambi amichevoli, che contribuiscono al servizio della pace. In una concezione sempre più elevata della scienza, dove il conoscere è posto al servizio dell’umanità in una prospettiva etica, mi permetterete di presentare alla vostra riflessione un nuovo gradino di ascesa spirituale. C’è un legame tra scienza e fede: l’avete affermato anche voi. Il Magistero della Chiesa l’ha sempre affermato; e uno dei fondatori della scienza moderna, Galileo, scriveva che “La Sacra Scrittura e la Natura procedono ambedue dal Verbo divino: l’una perché dettata dallo Spirito Santo, il Santo Spirito, e l’altra fedelissima esecutrice degli ordini di Dio” così scriveva nella sua lettera del 1613 a Benedetto Castelli (Edizione nazionale delle Opere di Galileo, vol. V, p. 282).

     Se la ricerca scientifica procede secondo metodi di assoluto rigore e resta fedele al suo oggetto proprio, e se la Scrittura è letta secondo le sagge direttive della Chiesa, le norme contenute nella Costituzione conciliare Dei Verbum sono, diciamo, le ultime – prima ve n’erano altre, simili –, allora non può esservi opposizione tra fede e scienza. Nei casi in cui la storia sottolinea una simile opposizione, questa deriva sempre da posizioni erronee che il Concilio ha apertamente rifiutato: infatti esso deplora “certi atteggiamenti verificatisi tra gli stessi cristiani per non aver percepito con sufficiente chiarezza la legittima autonomia della scienza: provocando tensioni e conflitti, han condotto molti spiriti fino a pensare che scienza e fede si oppongano” (Gaudium et Spes, 36 § 2). Quando gli scienziati avanzano con umiltà nella loro ricerca dei segreti della natura, la mano di Dio li conduce verso le vette dello spirito. Come notava il mio predecessore, il Papa Pio XI, nel Motu Proprio che istituiva la Pontificia Accademia delle Scienze, gli scienziati chiamati a farne parte “non esitarono a dichiarare, e giustamente, che la scienza in qualsiasi suo ramo apre e consolida la via che porta alla fede cristiana”.

     La fede non offre risorse alla ricerca scientifica come tale; ma incoraggia lo scienziato a proseguire la sua indagine, giacché egli sa che nella natura egli incontra la presenza del Creatore. Alcuni tra voi camminano per questa via. Tutti, concentrate le vostre forze intellettuali sulla vostra specialità, e scoprite ogni giorno, insieme alla gioia del conoscere, le possibilità infinite che la ricerca fondamentale apre all’uomo: e nel contempo, vi imbattete nelle temibili questioni che essa pone, come talvolta quelle relative al futuro dell’uomo stesso.

     Mi piacerebbe che ci fosse possibile in futuro continuare questo nostro conversare, trovando occasioni e modalità di uno scambio indiretto – le mie e le vostre occupazioni non lasciano altra possibilità –, che mi permetta di conoscer meglio le vostre preoccupazioni e quanto vi piacerebbe sentire dal Papa. Penso che siano in qualche modo preliminari le semplici osservazioni di oggi. Auguro, Signore e Signori, che la benedizione dell’Onnipotente scenda sui vostri lavori e sulle vostre persone, e che vi dia il conforto di contribuire al vero progresso dell’umanità, alla salute dei corpi e degli spiriti, alla solidarietà e alla pace tra i popoli. Grazie.

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
PER LA COMMEMORAZIONE DELLA NASCITA
DI ALBERT EINSTEIN
10 novembre 1979
     Signori Cardinali, Eccellenze, Signore e Signori.

     1. La ringrazio vivamente, Signor Presidente, delle parole ferventi e calorose indirizzatemi all’inizio del discorso. E mi compiaccio anche con Vostra Eccellenza come con i Signori Dirac e Weisskopf, tutti membri dell’illustre Accademia Pontificia delle Scienze, per questa solenne commemorazione della nascita di Albert Einstein.

      Anche questa Sede Apostolica vuole rendere ad Albert Einstein il dovuto omaggio per il singolare eccelso contributo portato al progresso della scienza, ossia alla conoscenza della verità presente nel mistero dell’universo. Io mi sento pienamente solidale col mio Predecessore Pio XI, e con quanti si sono succeduti su questa Cattedra Apostolica, nel richiedere ai membri della Pontificia Accademia delle Scienze, e con essi a tutti gli scienziati, che “facciano progredire sempre più nobilmente e intensamente le scienze, senza domandare loro niente di più; perché in questo eccellente proposito e in questo nobile lavoro consiste la missione di servire la verità, di cui noi li incarichiamo...” (Pio XI, In multis solaciis, 28 ottobre 1936: AAS 28 [1936] 424).

     2. La ricerca della verità è il compito della scienza fondamentale. Il ricercatore che si muove su questo primo versante della scienza sente tutto il fascino delle parole di Sant’Agostino: “Intellectum valde ama” (S. Agostino, Epist. 120, 3,13: PL 33,459), ama molto l’intelligenza e la funzione che le è propria di conoscere la verità. La scienza pura è un bene, degno di essere molto amato, perché è conoscenza e quindi perfezione dell’uomo nella sua intelligenza: essa deve essere onorata per se stessa, ancor prima delle sue applicazioni tecniche, come parte integrante della cultura. La scienza fondamentale è un bene universale, che ogni popolo deve poter coltivare con piena libertà da ogni forma di servitù internazionale o di colonialismo intellettuale. La ricerca fondamentale dev’essere libera di fronte ai poteri politico ed economico, che debbono cooperare al suo sviluppo, senza intralciarla nella sua creatività o aggiogarla ai propri scopi. La verità scientifica, infatti, è, come ogni altra verità, debitrice soltanto a se stessa e alla suprema Verità che è Dio creatore dell’uomo e di tutte le cose.

     3. Sul suo secondo versante la scienza si rivolge all’applicazione pratica, che trova il suo pieno sviluppo nelle varie tecnologie. La scienza nella fase delle sue concrete realizzazioni è necessaria all’umanità per soddisfare le giuste esigenze della vita e per vincere vari mali che la minacciano.

     Non v’è dubbio che la scienza applicata ha portato e porterà degli immensi servizi all’uomo, purché sia ispirata dall’amore, regolata dalla saggezza, “accompagnata dal coraggio che la difenda dall’indebita ingerenza di ogni potere tirannico. La scienza applicata deve allearsi con la coscienza, affinché nel trinomio scienza-tecnologia-coscienza sia servita la causa del vero bene dell’uomo.

     4. Purtroppo, come ho già detto nella mia Enciclica Redemptor Hominis, “l’uomo d’oggi sembra essere sempre minacciato da ciò che produce... In questo sembra consistere l’atto principale del dramma dell’esistenza umana contemporanea” (Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis, 15).

     L’uomo deve uscire vittorioso da questo dramma, che minaccia di degenerare in tragedia, e deve ritrovare la sua autentica regalità sul mondo e il pieno dominio sulle cose che produce. Ora, come già scrivevo nella stessa Enciclica “il senso essenziale della regalità, del dominio dell’uomo sul mondo visibile, a lui assegnato come compito dallo stesso Creatore, consiste nella priorità dell’etica sulla tecnica, nel primato della persona sulle cose, nella superiorità dello spirito sulla materia” (Ivi, 16). Questa triplice superiorità si mantiene in quanto si conservi il senso della trascendenza dell’uomo sul mondo e di Dio sull’uomo. La Chiesa, esercitando la sua missione di custode e vindice dell’una e dell’altra trascendenza, ritiene di aiutare la scienza a conservare la sua purezza ideale sul versante della ricerca fondamentale e ad assolvere il suo servizio all’uomo sul versante delle sue applicazioni pratiche.

     5. La Chiesa, d’altra parte, riconosce volentieri di avere goduto di benefici che le provengono dalla scienza, alla quale, tra l’altro, si deve attribuire quanto il Concilio dice a proposito di alcuni aspetti della cultura moderna: “Anche la vita religiosa è sotto l’influsso delle nuove situazioni... un più acuto senso critico la purifica da ogni concezione magica del mondo e dalle sopravvivenze superstiziose ed esige sempre più una adesione più personale e attiva alla fede; numerosi sono perciò coloro che giungono a un più acuto senso di Dio” (Gaudium et Spes, 7).

     La collaborazione di religione e scienza torna a vantaggio dell’una e dell’altra, senza violare in nessun modo le rispettive autonomie. Come la religione richiede la libertà religiosa, così la scienza rivendica legittimamente la libertà della ricerca. Il Concilio ecumenico Vaticano II, dopo aver riaffermato col Concilio Vaticano I la giusta libertà delle arti e delle discipline umane, operanti nell’ambito dei propri principi e del proprio metodo, riconosce solennemente “la legittima autonomia della cultura e specialmente delle scienze” (Gaudium et Spes, 59). Nell’occasione di questa solenne commemorazione di Einstein desidero riconfermare le affermazioni conciliari sull’autonomia della scienza nella sua funzione di ricerca della verità scritta nel creato dal dito di Dio. Piena d’ammirazione per il genio del grande scienziato, in cui si rivela l’impronta dello Spirito creatore, la Chiesa, senza interferire in alcun modo, e con un giudizio che non le compete, sulla dottrina concernente i massimi sistemi dell’universo, la propone però alla riflessione di teologi, per scoprire l’armonia esistente tra la verità scientifica e la verità rivelata.

     6. Signor Presidente! Lei nel suo discorso ha detto giustamente che Galileo e Einstein hanno caratterizzato un’epoca. La grandezza di Galileo è a tutti nota, come quella di Einstein; ma a differenza di questi, che oggi onoriamo di fronte al Collegio cardinalizio nel nostro palazzo apostolico, il primo ebbe molto a soffrire – non possiamo nasconderlo – da parte di uomini e organismi di Chiesa. Il Concilio Vaticano II ha riconosciuto e deplorato certi indebiti interventi: “Ci sia concesso di deplorare – è scritto al n. 36 della Costituzione conciliare Gaudium et Spes – certi atteggiamenti mentali, che talvolta non mancarono nemmeno tra i cristiani, derivati dal non avere sufficientemente percepito la legittima autonomia della scienza, e che, suscitando contese e controversie, trascinarono molti spiriti a tal punto da ritenere che scienza e fede si oppongano tra loro”. Il riferimento a Galileo è reso esplicito dalla nota aggiunta, che cita il volume “Vita e opere di Galileo Galilei”, di Monsignor Paschini, edito dalla Pontificia Accademia delle Scienze.

     A ulteriore sviluppo di quella presa di posizione del Concilio, io auspico che teologi, scienziati e storici, animati da uno spirito di sincera collaborazione, approfondiscano l’esame del caso Galileo e, nel leale riconoscimento dei torti, da qualunque parte provengano, rimuovano le diffidenze che quel caso tuttora frappone, nella mente di molti, alla fruttuosa concordia tra scienza e fede, tra Chiesa e mondo. A questo compito che potrà onorare la verità della fede e della scienza, e di schiudere la porta a future collaborazioni, io assicuro tutto il mio appoggio.

     7. Mi sia lecito, Signori, offrire alla loro attenta considerazione e meditata riflessione, alcuni punti che mi appaiono importanti per collocare nella sua vera luce il caso Galileo, nel quale le concordanze tra religione e scienza sono più numerose, e soprattutto più importanti, delle incomprensioni che hanno causato l’aspro e doloroso conflitto che si è trascinato nei secoli successivi. Colui che è chiamato a buon diritto il fondatore della fisica moderna, ha dichiarato esplicitamente che le due verità, di fede e di scienza, non possono mai contrariarsi “procedendo di pari dal Verbo divino la Scrittura sacra e la natura, quella come dettatura dello Spirito Santo, e questa come osservantissima esecutrice degli ordini di Dio” come scrive nella lettera al Padre Benedetto Castelli il 21 dicembre 1613 (Edition Nationale de œuvres de Galilée, vol. V, 282-285). Non diversamente, anzi con parole simili, insegna il Concilio Vaticano II: “La ricerca metodica di ogni disciplina, se procede in maniera veramente scientifica e secondo le norme morali, non sarà mai in reale contrasto con la fede, perché le realtà profane e le realtà della fede hanno origine dal medesimo Iddio” (Gaudium et Spes, 36).

     Galileo sente nella sua ricerca scientifica la presenza del Creatore che lo stimola, che previene e aiuta le sue intuizioni, operando nel profondo del suo spirito. A proposito della invenzione del cannocchiale, egli scrive all inizio del Sidereus nuncius, rammentando alcune sue scoperte astronomiche: “Quae omnia ope Perspicilli a me excogitati divina prius illuminante gratia, paucis abhinc diebus reperta, atque observata fuerunt” (Galileo, Sidereus nuncius, Venezia, MCDX, fol. 4). “Tutte queste cose sono state scoperte e osservate in questi ultimi giorni per mezzo del “telescopio” escogitato da me, in precedenza illuminato dalla grazia divina”.

     La confessione galileiana della illuminazione divina nella mente dello scienziato trova riscontro nella già citata Costituzione conciliare della Chiesa nel mondo contemporaneo: “Chi si sforza con umiltà e con perseveranza di scandagliare i segreti della realtà, anche senza avvertirlo viene condotto dalla mano di Dio” (Gaudium et Spes, 36). L’umiltà richiamata dal testo conciliare è una virtù dello spirito necessaria tanto per la ricerca scientifica, quanto per l’adesione alla fede. L’umiltà crea un clima favorevole al dialogo tra il credente e lo scienziato e richiama l’illuminazione di Dio, già conosciuto e ancora ignoto, ma tuttavia amato, sia nell’un caso sia nell’altro, da chi umilmente ricerca la verità.

     8. Galileo ha enunciato delle importanti norme di carattere epistemologico indispensabili per accordare la Sacra Scrittura con la scienza. Nella Lettera alla Granduchessa Madre di Toscana, Cristina di Lorena, Galileo riafferma la verità della Scrittura: “Non poter mai la Sacra Scrittura mentire, tutta volta che sia penetrato il suo vero sentimento, il qual non credo che si possa negare essere molte volte recondito e molto diverso da quello che suona il puro significato delle parole” (Edition Nationale des œuvres de Galilée, vol. V, p. 315). Galileo introduce il principio di una interpretazione dei libri sacri, al di là anche del senso letterale, ma conforme all’intento e al tipo di esposizione propri di ognuno di essi. È necessario, come egli afferma, che “i saggi espositori ne produchino i veri sensi”.

     La pluralità delle regole di interpretazione della Sacra Scrittura, trova consenziente il magistero ecclesiastico, che espressamente insegna, con l’enciclica Divino afflante Spiritu di Pio XII, la presenza di diversi generi letterari nei libri sacri e quindi la necessità di interpretazioni conformi al carattere di ognuno di essi.

     Le varie concordanze che ho rammentato non risolvono da sole tutti i problemi del caso Galileo, ma cooperano a creare una premessa favorevole per una loro onorevole soluzione, uno stato d’animo propizio alla composizione onesta e leale dei vecchi contrasti. L’esistenza di questa Pontificia Accademia delle Scienze, di cui nella sua più antica ascendenza fu socio Galileo e di cui oggi fanno parte eminenti scienziati, senza alcuna forma di discriminazione etnica o religiosa, è un segno visibile, elevato tra i popoli, dell’armonia profonda che può esistere tra le verità della scienza e le verità della fede.

     9. Oltre la fondazione di questa Pontificia Accademia, la Chiesa ha voluto, per decisione del mio Predecessore Giovanni XXIII, promuovere e premiare il progresso della scienza con l’istituzione della Medaglia Pio XI. Su designazione del Consiglio dell’Accademia sono felice di conferire questo alto riconoscimento a un giovane ricercatore, il Dottor Antonio Paes de Carvalho, che ha portato, con i suoi lavori di ricerca fondamentale, un contributo importante per il progresso della scienza e il bene dell’intera umanità.

     10. Signor Presidente e Signori Accademici. Dinanzi agli Eminentissimi Cardinali qui presenti, al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, agli illustri scienziati e Signori che partecipano a questa tornata accademica, io desidero dichiarare che la Chiesa universale, la Chiesa di Roma insieme a tutte le Chiese sparse nel mondo, attribuisce una grande importanza alla funzione della Pontificia Accademia delle Scienze.

     Il titolo di Pontificia attribuito all’Accademia significa, come voi sapete, l’interesse e l’impegno della Chiesa, in forme diverse dall’antico mecenatismo, ma non meno profonde ed efficaci. Come ha scritto l’insigne compianto Presidente dell’Accademia Monsignor Lemaître: “La Chiesa ha forse bisogno della scienza? Certamente no! La croce e il vangelo le sono sufficienti. Ma al cristiano niente dell’umano è estraneo. Come la Chiesa avrebbe potuto disinteressarsi della più nobile delle occupazioni strettamente umane: la ricerca della verità?” (O. Godart-M. Heller, Les relations entre la science et la foi chez Georges Lemaître, in “Pontificia Accademia Scientiarum, Commentarii”. vol. III, n. 21, p. 7).

     Nella vostra e mia Accademia collaborano insieme scienziati credenti e non credenti tutti concordi nella ricerca della verità e nel rispetto di tutte le fedi. Mi sia lecito citare ancora una luminosa pagina di Monsignor Lemaître: “Entrambi – lo scienziato credente e non-credente – si sforzano di decifrare il palinsesto di molteplici stratificazioni della natura dove le tracce delle diverse tappe della lunga evoluzione del mondo si sono sovrapposte e confuse. Il credente ha forse il vantaggio di sapere che l’enigma ha una soluzione, che la scrittura soggiacente è, alla fine dei conti, opera di un essere intelligente, dunque che il problema posto della natura è stato posto per essere risolto e che la sua difficoltà è indubbiamente proporzionale alla capacità presente o futura dell’umanità. Questo forse non gli darà nuove risorse nella sua indagine, ma contribuirà a mantenerlo in un sano ottimismo senza il quale uno sforzo costante non può mantenersi a lungo” (Ivi, p. 11).

     Io auguro a tutti voi quel sano ottimismo di cui parla Monsignor Lemaître e che trae la sua origine misteriosa, ma reale, da Dio in cui avete riposto la vostra fede o dal Dio ignoto cui tende la verità, oggetto della vostra illuminata ricerca.

     Che la scienza da voi coltivata, Signori Accademici e Signori Scienziati, sui versanti tanto della ricerca pura quanto della ricerca applicata, possa, col concorde aiuto della religione, aiutare l’umanità a ritrovare le vie della speranza e raggiungere le mete supreme della pace e della fede.

DISCORSO DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II AL DODICESIMO SEMINARIO DI STUDI DAL TITOLO "SCIENZA, RELIGIONE, STORIA"
Palazzo Apostolico Vaticano di Castel Gandolfo
Venerdì, 8 agosto 2003
     Illustri Signori,
     Cari Amici,
     Desidero esprimere la mia cordiale gratitudine per questa comune riflessione, la quale ci ha uniti in questi giorni nella ricerca della verità. Ringrazio Dio che per la dodicesima volta abbiamo potuto riunirci qui per meditare sui problemi riguardanti le grandi questioni che decidono la specificità della cultura umana. Ho sottolineato il ruolo di questi problemi nell’Enciclica Fides et ratio. Nella cultura contemporanea non possono mancare le domande fondamentali sul senso e sulla verità, sulla bellezza e sulla sofferenza, sull’infinità e sulla contingenza. Vi ringrazio che abbiamo potuto trattarle in una prospettiva nella quale si completano reciprocamente le nuove scoperte della scienza e la riflessione sulla filosofia classica.

     La nostra comunità ha espresso simbolicamente il legame fra la Chiesa e l’Accademia. Questo legame è particolarmente importante in quest’epoca di grandi cambiamenti culturali. Affinché i testimoni contemporanei della verità non si sentano soli, è necessario promuovere una grande solidarietà di spirito fra tutti coloro che sono al servizio del pensiero. Alla Chiesa non possono essere indifferenti le conquiste della scienza che è sorta e si è sviluppata nell’ambito delle influenze culturali della cristianità. Bisogna anche ricordare che la verità e la libertà sono inseparabilmente unite nella grande opera di edificazione della cultura al servizio del pieno sviluppo della persona umana. Ricordando le parole Cristo "la verità vi farà liberi" (Gv 8,32) vogliamo edificare la cultura evangelica libera dalle illusioni e dalle utopie, le quali hanno portato tante sofferenze nel secolo XX.

     Il mio pensiero va a tutti coloro i quali nel passato hanno partecipato ai nostri seminari. Molto di loro sono già andati al Signore e certamente nella Sua luce vedono più chiare le verità che noi dobbiamo scoprire nella semioscurità delle ricerche e delle discussioni. Raccomando a Dio sia tutti loro, che voi qui presenti. Che ci unisca il senso della responsabilità cristiana per il futuro della cultura. Questo senso ci permette di creare una grande armonia di vita che indica Cristo come fonte di ogni bene. A Lui affido tutti voi, tutti i vostri cari e i vostri programmi per il futuro.

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AD UN GRUPPO DI FISICI IMPEGNATI
NELLA RICERCA SULLE ALTE ENERGIE
Sabato, 18 dicembre 1982
     Signor Presidente, Signore, Signori.

     1. Con grande piacere accolgo il vostro gruppo di eminenti fisici impegnati nella ricerca sulle alte energie. Il vostro Simposio internazionale, riunito a Roma su invito dell’Istituto nazionale italiano di Fisica nucleare, e grazie alla diligente iniziativa del professor Antonino Zichichi, prevede due giorni di intensi lavori e di scambi di rapporti molto tecnici. Sono quindi tanto più sensibile al vostro desiderio di rendermi visita e vorrei salutare personalmente ciascuno di voi che portate un contributo così qualificato alla scienza: so che sono presenti tra di voi quattro Premi Nobel, i direttori dei più grandi laboratori del mondo nel settore della fisica sub-nucleare, e molti studiosi di grande fama.

     Il 15 giugno scorso, a Ginevra, avete cercato di familiarizzarmi con i vostri complessi lavori, mostrandomi le più tipiche installazioni del CERN. Ne conservo un eccellente ricordo, a causa delle cose prodigiose che mi hanno spiegato ed anche dell’atmosfera molto accogliente di quell’ambiente scientifico. In quella occasione, di fronte a queste realtà, ho potuto esprimere, a nome della Chiesa, alcune riflessioni fondamentali sulla scienza, sui rapporti tra lo scienziato e il credente e sulle diverse applicazioni delle vostre scoperte, che il nostro breve incontro non mi permette di riprendere interamente.

     2. Lo scopo del vostro Simposio è di primaria importanza, poiché mira a programmare e a coordinare l’attività e i progetti dei più grandi laboratori di ricerca d’Europa e d’America, esaminando le possibilità dei più perfezionati strumenti di cui voi disponete. Questo mostra una volta di più che la ricerca scientifica oggigiorno non è il lavoro di ricercatori isolati, ma richiede la collaborazione della comunità scientifica internazionale. Presso di voi, gli specialisti di matematica, di fisica teorica e di fisica sperimentale contribuiscono, ciascuno con le sue proprie capacità, all’impresa comune. Questo fa presente un aspetto altamente umano della scienza contemporanea, che io tengo a sottolineare; esso ha una risonanza spirituale poiché tende a far oltrepassare le barriere e gli ostacoli tra gli individui, tra i popoli, tra gli interessi particolari e nazionalisti, per mettere in comune, al servizio dell’umanità intera, le conoscenze e le risorse tecniche dovute al progresso scientifico. Ecco, a livello della scienza, un terreno di incontro, che comporta un invito pressante alla concordia, alla pace, alla fraternità universale.

     3. Quando si sente parlare di energia nucleare e sub-nucleare, lo spirito non può fare a meno, purtroppo, di pensare agli effetti distruttori e catastrofici delle armi moderne. Non c’è del resto nessun dubbio che questa è una delle più gravi minacce per l’umanità. Personalità di ogni orizzonte sociale e culturale non cessano di segnalarlo; i miei predecessori ed io stesso, abbiamo a più riprese attirato l’attenzione degli uomini politici e degli studiosi su questo grave pericolo, soprattutto se i Governanti non hanno la saggezza o la volontà di frenare la produzione e l’accumulazione di questi terrificanti strumenti di morte. Ma, d’altra parte, questo non mi impedisce di riaffermare chiaramente la piena legittimità, la nobiltà e l’utilità della ricerca scientifica, ivi compreso il campo delle energie e della fisica nucleare e sub-nucleare, sul piano teorico certamente, ed anche sul piano pratico, nelle applicazioni pacifiche di questa scienza.

     4. Sul piano teorico infatti, quello della scienza pura, quello della conoscenza - che mi sembra essere quello in cui vi ponete -, la ricerca scientifica contemporanea cerca di svelare i segreti più profondi della natura. Scrutate la struttura microscopica della materia, a livello dei suoi elementi più infinitesimali come i leptoni e i quark, i loro raggruppamenti, le leggi energetiche che agiscono in questo àmbito; la vostra ricerca concerne anche l’indefinitivamente grande, la cosmologia, che cerca di decifrare la struttura e l’evoluzione dell’universo. Questo progetto costituisce la nobiltà dell’uomo, fintantoché non pretenda di sostituirsi alla conoscenza metafisica - che suppone la conoscenza delle cause seconde conosciute dalla scienza, ma si situa a livello della loro Causa prima - né alla conoscenza della fede ricevuta dalla Rivelazione di Dio. A questo prezzo, lo studioso cristiano non solo non vede nella scienza alcuna difficoltà per la sua fede, ma, distinguendo gli àmbiti, è felice di questo nuovo approccio della verità, anche per celebrare il Creatore. Il Salmista della Bibbia diceva, a partire da ciò che osservava con i suoi occhi: “I cieli narrano la gloria di Dio, / e l’opera delle sue mani annunzia il firmamento” (Sal 18[19], 2). La scienza contemporanea, la vostra, permette di scoprire un mondo molto più meraviglioso, ed essa ci rinvia ancor più fortemente al Creatore, alla sua saggezza, alla sua potenza, al suo mistero, ed al mistero dell’uomo al quale Dio ha donato questo potere di decifrare ciò che esiste prima di lui.

     5. Se noi ora prendiamo in considerazione il piano pratico - ed è necessario farlo, poiché le vostre scoperte disinteressate sfociano necessariamente in applicazioni e progressi tecnici -, è qui che entra in gioco la responsabilità degli uomini - la loro coscienza - per giudicare e decidere ciò che promuove la qualità della loro vita e la fraternità tra di loro. Il credente trova lì anche un incoraggiamento ed una luce nel disegno di Dio espressogli anche nella prima pagina della Bibbia, che esorta l’uomo a dominare la terra con tutti i suoi elementi, a custodirla, a coltivarla, a svilupparla (cf. Gen 1, 26-27).

     Il Concilio Vaticano II lo ha così precisato: “L’uomo creato ad immagine di Dio, ha ricevuto il comando di sottomettere a sé la terra con tutto quanto essa contiene, e di governare il mondo nella giustizia e nella santità, e così pure di riportare a Dio se stesso e l’universo intero, riconoscendo in lui il Creatore di tutte le cose”. E aggiunge: “I cristiani non si sognano nemmeno di contrapporre i prodotti dell’ingegno e della potenza dell’uomo alla potenza di Dio . . ., al contrario, piuttosto, essi sono persuasi che le vittorie dell’umanità sono segno della grandezza di Dio e frutto del suo ineffabile disegno. E quanto più cresce la potenza degli uomini, tanto più si estende e si allarga la loro responsabilità sia individuale che collettiva” (Gaudium et Spes, 34, § 1 et 3).

     Sì, questa responsabilità degli uomini è impegnata secondo la misura stessa dei processi sempre più complessi e carichi di conseguenze che mettono in gioco con la tecnica. Nell’àmbito delle applicazioni pacifiche dell’energia nucleare, la tecnica richiederà dunque sempre una maggiore prudenza, informazione, collaborazione, per esempio per servire i bisogni umani sul piano alimentare o energetico.

     Vi auguro dunque di continuare nella vostra opera di studiosi con impegno disinteressato, per la gioia di scoprire, di scoprire insieme, per il bene dell’umanità e - come i credenti ne avranno facilmente coscienza - per la gloria del Creatore. Dio vi benedica, benedica il vostro lavoro e i vostri sforzi per la cooperazione! Benedica le vostre famiglie alle quali già ora auguro un Natale pieno di gioia!

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AL CENTRO EUROPEO PER LA RICERCA NUCLEARE (CERN)
Martedì, 15 giugno 1982
     Signor Direttore Generale, Signore, Signori, e cari amici.

     1. Mi sento onorato di rendervi visita oggi. E vi esprimo tutta la mia gratitudine per il vostro invito e la vostra accoglienza in questo Centro dell’Organizzazione europea per la ricerca nucleare. Sì, sono molto felice d’incontrare voi e le vostre famiglie. Le cose prodigiose che mi avete mostrato e spiegato, mi fanno capire meglio la funzione essenziale del CERN, già da quasi trent’anni: quella di mettere a disposizione degli scienziati - credo che siano più di duemila, provenienti da 140 università o laboratori nazionali - delle installazioni di ricerca in fisica delle particelle che non potrebbero essere ottenute mediante le sole risorse nazionali di ogni paese. Così il CERN è il principale centro europeo di ricerca fondamentale sulla composizione della materia, e in questo campo trova il suo posto tra i più grandi centri del mondo.

     2. Ciò che prima di tutto vi caratterizza è che voi siete dei ricercatori. Ciò che vi riunisce, ricercatori e tecnici, è la vostra competenza al servizio di una causa totalmente disinteressata: la ricerca pura, al solo scopo di far avanzare la conoscenza scientifica. Voi lo fate grazie agli strumenti di alta qualità che sono a vostra intera disposizione, specialmente gli acceleratori di particelle e gli anelli di stoccaggio a intersezioni; ma ciò che vi guida è la passione della scoperta.

     3. Questo nobile ideale della ricerca scientifica, voi lo perseguite in comune. Oggi, in un campo che richiede tanti strumenti, tante competenze e un gran numero di dati informatici, non potrebbe essere diversamente. Non si possono più immaginare dei ricercatori isolati. Ma credo di poter sottolineare la larga partecipazione, l’atteggiamento di collaborazione, lo spirito d’apertura che sottolineano in particolare l’atmosfera di lavoro del CERN e che molto l’onora. Anche il luogo del vostro laboratorio è simbolicamente a cavallo del territorio francese e svizzero. Voi venite da dodici stati membri che sostengono generosamente questa prestigiosa impresa, ma accettate anche altri scienziati venuti dall’Ovest o dall’Est, appartenenti a paesi impegnati in politiche molto differenti. Indipendentemente dagli interessi politici o dalle ambizioni personali, voi lavorate gli uni e gli altri in gruppo, uniti nella stessa ricerca, ed è quello che vi permette di stabilire delle comunicazioni ad un livello veramente mondiale. Sì, qui si realizza veramente uno degli aspetti più belli della scienza: quello di unire gli uomini.

     4. Ma mi soffermo un poco su quanto forma la specificità della vostra ricerca: essa esplora sempre più profondamente l’intima struttura della materia, quindi, ciò che si può chiamare “l’infinitamente piccolo”, al limite di ciò che è misurabile nel microcosmo, atomi, elettroni, nucleo, protoni, neutroni, quarks . . . Insomma sono i segreti della materia, della sua composizione e della sua energia fondamentale che voi cercate di decifrare. Per questo, tutti gli ambienti scientifici, ma anche tutto il mondo culturale che ama riflettere su tali problemi e, si può dire, tutti gli uomini, sono interessati o almeno sollecitati, perché si svela una parte del loro mistero.

     5. Dico “una parte”. Perché davanti all’immensità e alla complessità delle cose ancora da scoprire in questo campo, voi siete, da veri scienziati, colmi d’umiltà. Esistono delle componenti elementari e indivisibili della materia? Quali sono le forze che agiscono tra esse? È come se queste domande indietreggiassero man mano che voi avanzate.

     E soprattutto, sorgono altre domande più fondamentali ancora per la conoscenza, ma che sono ai limiti delle “scienze esatte”, delle scienze della natura, o piuttosto già al di là, nel campo filosofico. Anche la vostra scienza permette di porle meglio ai filosofi e ai credenti: qual è l’origine del cosmo? E perché troviamo l’ordine nella natura?

     Se vi fu un tempo in cui certi scienziati furono tentati di rinchiudersi in un atteggiamento imbevuto di “scientismo” - che era più una scelta filosofica che un atteggiamento scientifico, volendo ignorare altre forme di conoscenza -, questo tempo è compiuto. La maggior parte di scienziati ammettono che le scienze naturali, col loro metodo basato sulle esperienze e sulla riproduzione dei risultati, coprono solo una parte della realtà, o piuttosto la raggiungono sotto un certo aspetto. La filosofia, l’arte, la religione, e soprattutto la religione che è conscia di collegarsi a una rivelazione trascendente, percepiscono altri aspetti della realtà dell’universo e soprattutto dell’uomo. Pascal parlava già, in un altro senso è vero, di tre ordini di grandezza nell’uomo, le grandezze di potenza, le grandezze d’intelligenza e le grandezze dell’amore, ciascuna di esse superando infinitamente l’altra e chiamando del resto questo Altro che è il Creatore, Padre di tutti gli uomini, come loro sorgente e loro termine, perché “l’uomo supera infinitamente l’uomo”.

     6. D’altronde, di questo uomo, anche voi mettete in luce la grandezza e il mistero. La grandezza del suo potere investigativo, della sua ragione, della sua capacità di raggiungere una più grande verità, la sua potenza di volontà nel generoso perseguimento di un disinteressato lungo cammino. Il suo mistero anche, e, forse, l’abissale novità della ricerca pura sulla natura della materia è infine meno importante della emozionante novità dell’atteggiamento dell’uomo che si sente tutto piccolo di fronte a queste scoperte. Sì, quale cambiamento nella rappresentazione scientifica del mondo, come l’abbiamo ereditata dai nostri padri, come essi l’avevano ricevuta dalle generazioni che li avevano preceduti nella grande comunità degli uomini! Ma, nello stesso tempo anche, permettete al credente che io sono di dirlo in tutta semplicità, quale continuità nel disegno del Dio creatore, che ha fatto l’uomo “a sua immagine e somiglianza”, affidandogli la missione di “dominare” tutto il mondo che egli aveva creato per amore, e di cui l’autore del primo libro della Bibbia, la “Genesi”, non cessa di ripetere con meraviglia: “Dio vide che ciò era buono, Dio vide tutto quello che aveva fatto, ed ecco che questo era molto buono” (Gen 1, 31).

     7. Voi stessi, fisici, dovete qui dispiegare le vostre energie e la vostra competenza con i soli metodi scientifici delle scienze della natura. Ma come uomini, non potete non porvi quelle altre domande fondamentali, esistenziali, di cui parlavo, alle quali rispondono la saggezza filosofica e la fede. Vi auguro di essere anche su questo terreno degli uomini di ricerca, poiché sapete che non potrebbe esistere opposizione fra questi campi ma piuttosto un’armonia, quella di essere degli uomini aperti alla pienezza della verità. So d’altronde che personalmente un certo numero di voi siete credenti e dividete, per esempio, le convinzioni della fede cristiana, senza che ne derivi alcun disturbo nel rigore del vostro lavoro scientifico, né nel rispetto reciproco che dovete manifestare tra di voi. Direi di più, la struttura fondamentale della materia non rivela a tutti un ordine logico che sembra molto più vicino a un’interpretazione filosofica trascendente dei fenomeni naturali di quello di una concezione puramente materialista? Ai cristiani io dico, come l’affermavo agli studenti e ai professori dell’Istituto Cattolico di Parigi: Possiate “unificare esistenzialmente, nel vostro lavoro intellettuale, due livelli di realtà che si ha troppo spesso tendenza ad opporre, come se fossero antitetici, ossia la ricerca della verità e la certezza di conoscere già la fonte della verità” (Giovanni Paolo II, Allocutio ad Institutum Catholicum in urbe Paris habita, 4, die 1 iun. 1980: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, III, 1 [1980] 1581).

     8. La Chiesa mantiene bene la distinzione specifica delle conoscenze scientifiche e religiose e dei loro metodi. È sicura anche della loro complementarità e della loro armonia profonda intorno ad uno stesso Dio creatore e Redentore dell’uomo. Essa vuole sciogliere ogni malinteso in proposito. Rispetta, nel suo ordine, la scienza della natura che, per essa, non è una minaccia ma piuttosto la manifestazione del Dio creatore. Si rallegra del suo progresso e dunque, Signore e Signori, incoraggia la vostra ricerca fatta nello spirito che vi abbiamo esposto.

     Ammette peraltro che la cultura scientifica di oggi chiede ai cristiani una maturazione della loro fede, un’apertura al linguaggio e alle domande degli scienziati, un senso dei livelli del sapere e dei diversi approcci della verità. Insomma, essa desidera che il dialogo fra scienza e fede, anche se storicamente ha conosciuto tensioni, entri in una fase sempre più positiva e si intensifichi ad ogni livello.

     L’amore della verità, ricercata con umiltà, è uno dei grandi valori capaci di riunire gli uomini di oggi attraverso le varie culture. La cultura scientifica non si oppone né alla cultura umanistica, né alla cultura mistica. Ogni cultura autentica è apertura verso l’essenziale, e non esiste verità che non possa diventare universale.

     Per questa ragione, ho voluto creare recentemente a Roma un “Consiglio Pontificio per la cultura”, ben conscio di questa realtà fondamentale che unisce tutti gli uomini, e ho voluto esplicitamente che questo Consiglio sia aperto a tutti i ricercatori e ai centri di ricerca. Questo vi dice bene quanto io mi rallegri dell’apertura del CERN a tutti coloro che vogliono partecipare alle sue ricerche anche se questi ricercatori non sono parte integrante della sua struttura. La vera ricerca, come la cultura, riunisce comunità di uomini, al di là delle frontiere e delle diversità di ogni tipo.

     9. L’ho detto all’inizio: voi vi dedicate alla ricerca pura. Proprio in questo luogo, i tecnici sono al servizio della scienza. Ed io mi sono posto soltanto sul terreno dell’investigazione culturale.

     Tuttavia mi permetterete, per finire, di evocare le applicazioni possibili delle vostre ricerche, anche se vanno oltre il vostro lavoro, le vostre responsabilità e lo scopo di questo Centro. Poiché la storia ci dimostra che la scoperta di nuovi fenomeni conduce, con il tempo, a delle applicazioni prodigiose, spesso completamente inaspettate. Già, sicuramente, nei vostri Paesi, i Governi e i tecnici dei vostri paesi, seguono le vostre ricerche con un interesse tanto più grande che ne aspettano, a breve o lungo termine, un’intensa utilizzazione. E quale utilizzazione non si può prevedere a partire dalla struttura dell’atomo e della sua possibile disintegrazione?

     Gli uomini potranno trarne il meglio o il peggio. Il meglio per il servizio dell’uomo e del suo sviluppo, in applicazioni che potranno riguardare la sua salute, le sue risorse alimentari, le sue fonti energetiche, la protezione della natura; e il peggio, che sarebbe la distruzione dell’equilibrio ecologico, una radioattività pericolosa, e, soprattutto, gli ordigni di distruzione che sono già terribilmente pericolosi per la loro potenza e per il loro numero.

     Lo dicevo all’UNESCO, il 2 giugno 1980, lo ripetevo davanti agli scienziati dell’Università delle Nazioni Unite a Hiroshima, il 25 febbraio 1981: siamo confrontati a una grande sfida morale che consiste nell’armonizzare i valori della tecnologia sorta dalla scienza con i valori della coscienza. “Bisogna mobilitare le coscienze!”. La causa dell’uomo sarà servita se la scienza si unisce alla coscienza. In altre parole, bisognerà controllare con la massima cura il modo con cui l’uomo utilizzerà queste scoperte, e l’intento che definirà le sue scelte.

     La Chiesa ha parlato abbastanza del pericolo delle armi atomiche e io stesso ho preso abbastanza iniziative in questo senso, perché io mi astenga di insistere in questa sede. Ma, anche per l’utilizzazione pacifica dell’energia nucleare, come lo ricordavo ai membri della Pontificia Accademia delle Scienze il 14 novembre 1980, la Chiesa si augura, con tanti uomini di buona volontà, che tutte le conseguenze siano esattamente studiate, - concernenti per esempio l’impatto radioattivo, la genetica, l’inquinamento dell’ambiente, lo stoccaggio dei rifiuti -, che le garanzie siano prese con rigore e che l’informazione sia all’altezza di questi problemi. La Santa Sede ha un Rappresentante permanente presso l’Agenzia internazionale dell’Energia Atomica a Vienna, al fine di manifestare il suo interesse verso l’utilizzazione pacifica e sicura dell’energia nucleare.

     Per voi, ciò non è vostra diretta responsabilità. Tuttavia, vedete meglio degli altri la posta in gioco e, di conseguenza, vi incombe in modo particolare la promozione dell’informazione in questi campi, soprattutto presso i vari responsabili dell’applicazione tecnica e di insistere affinché i risultati della scienza, per quanto siano meravigliosi, non si volgano mai contro l’uomo a livello della tecnologia e siano impiegati solo per il bene dell’umanità da persone ispirate dal più grande amore per l’uomo.

     10. Concludendo, vi affido il mio augurio. Spero che lo scienziato, a livello della sua cultura, conservi il senso della trascendenza dell’uomo sul mondo, e anche di Dio sull’uomo, e che a livello della sua azione, aggiunga al senso universale della cultura che lo caratterizza, il senso universale dell’amore fraterno di cui Cristo in modo particolare ha dato il gusto al mondo. Ripeto a questo proposito il mio appello dell’UNESCO: “Sì, l’avvenire dell’uomo dipende dalla cultura! Sì, la pace del mondo dipende dal primato dello Spirito! Sì, l’avvenire pacifico dell’umanità dipende dall’amore!” (Giovanni Paolo II, Allocutio ad UNESCO habita, 23, die 2 iun. 1980: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, III, 1 [1980] 1655).

MESSAGGIO DI GIOVANNI PAOLO II
ALLA II SESSIONE SPECIALE DELLE NAZIONI UNITE
PER IL DISARMO
     Signor Presidente,
     Signore e Signori Rappresentanti degli Stati membri.

     1. Nel giugno 1978, quando si riunì la prima Sessione straordinaria dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite sul disarmo, il mio predecessore Papa Paolo VI inviò un Messaggio personale, nel quale esprimeva le sue speranze per i risultati che l'umanità aveva il diritto di attendere da un tale sforzo di buona volontà e di saggezza politica da parte della comunità internazionale.

     Quattro anni dopo, avete voluto riunirvi di nuovo per domandarvi se queste attese sono state - almeno parzialmente - realizzate. La risposta a questa domanda sembra non essere troppo rassicurante né troppo incoraggiante. Un confronto della situazione di quattro anni fa con quella di oggi in materia di disarmo fa intravedere ben pochi miglioramenti. Alcuni pensano anche che si è avuto un deterioramento almeno nel senso che le speranze nutrite in quell'epoca potrebbero ora presentarsi come semplici illusioni. Questa constatazione potrebbe condurre facilmente allo scoraggiamento e spingere i responsabili del destino del mondo a ricercare altrove la soluzione dei problemi - particolari o generali - che continuano a sconvolgere la vita dei popoli.

     Molti percepiscono così la realtà attuale. Le cifre provenienti da fonti diverse indicano un serio aumento delle spese militari, che si traduce in una aumentata produzione dei diversi tipi di armi, alla quale, secondo istituti specializzati, corrisponde un nuovo impulso nel commercio delle armi. I mezzi d'informazione hanno concentrato ultimamente gran parte della loro attenzione sulla ricerca e l'uso su vasta scala delle armi chimiche. D'altra parte, hanno visto la luce nuove armi nucleari.

     Davanti ad un'Assemblea così competente come la vostra, non è necessario esporre le cifre che la vostra Organizzazione stessa ha pubblicato a questo proposito. Sia sufficiente, a titolo indicativo, citare lo studio secondo il quale il totale delle spese militari del pianeta corrisponde ad una media di centodieci dollari a persona l'anno, cioè ciò che per molti abitanti di questo stesso pianeta rappresenta il reddito di cui dispongono per vivere durante lo stesso periodo.

     Di fronte a questo stato di cose, esprimo ben volentieri la mia soddisfazione perché le Nazioni Unite si sono nuovamente proposte di affrontare il problema del disarmo, e sono riconoscente della possibilità che mi è cortesemente offerta di rivolgervi la parola in quest'occasione.

     Benché non sia membro della vostra Organizzazione, la Santa Sede ha presso di essa, da un certo tempo, una sua propria Missione permanente di osservazione che le permette di seguirne giorno dopo giorno le attività. Nessuno ignora come i miei predecessori apprezzassero i vostri lavori. Io stesso ho avuto l'opportunità, in particolare in occasione della mia visita alla sede dell'ONU, di far mie le parole di stima a proposito della vostra Organizzazione. Insieme a loro, ne comprendo le difficoltà e, esprimendo l'augurio che i suoi sforzi siano ricompensati da risultati più importanti e migliori, riconosco il suo ruolo prezioso e insostituibile per assicurare al mondo un avvenire più sereno e pacifico.

     E' la voce di chi non ha interessi, né poteri politici ed ancor meno forza militare, quella che la vostra cortesia mi consenta di fare nuovamente risuonare in quest'aula. Qui, dove convergono praticamente quelle di tutte le nazioni, grandi e piccole, la mia parola porta in essa l'eco della coscienza morale dell'umanità allo stato puro, se mi passate l'espressione. Essa non è accompagnata da preoccupazioni o interessi di altra natura, che potrebbero velarne la testimonianza e renderla meno credibile.Una coscienza illuminata e guidata dalla fede cristiana, senza dubbio, ma che non è per questo meno profondamente umana, al contrario. E' dunque una coscienza comune a tutti gli uomini di buona e sincera volontà.

     La mia voce diviene l'eco delle angosce, delle aspirazioni, delle speranze e dei timori di miliardi di uomini e di donne che, da tutte le latitudini, guardano alla vostra Assemblea domandandosi se ne nascerà, come essi sperano, una luce rassicurante, oppure una nuova e preoccupante delusione. Senza aver ricevuto da tutti il mandato, credo di potermi fare interprete fedele presso di voi di questi sentimenti che sono i loro.

     Non voglio né posso addentrarmi negli aspetti politici e tecnici del problema del disarmo quale si presenta al giorno d'oggi, ma mi permetterei d'attirare la vostra attenzione su quei principi etici che sono alla base di tutta la discussione e di tutta la decisione auspicabile in quest'ambito.

     2. Il mio punto di partenza si radica in una constatazione unanimemente ammessa non solamente dai vostri popoli, ma anche dai governi che voi presiedete o rappresentate: il mondo desidera la pace, il mondo ha bisogno della pace. Ai nostri giorni, rifiutare la pace non significa solamente provocare le sofferenze e le perdite che comporta - oggi più che nel passato - una guerra, anche limitata, questa potrebbe ugualmente comportare la distruzione totale di intere regioni, con la minaccia possibile o probabile di catastrofi di proporzioni ancora più vaste, persino universali.

     I responsabili della vita dei popoli sembrano impegnati soprattutto in una ricerca febbrile di vie politiche e di soluzioni tecniche che permettano di «contenere» gli effetti di eventuali conflitti. Pur riconoscendo i limiti dei loro sforzi in questo senso, essi persistono in queste vie, tanto è diffusa la convinzione che a lungo termine le guerre sono inevitabili, e anche tanto, e soprattutto, lo spettro di un possibile confronto militare tra i grandi campi che dividono il mondo d'oggi continua a ossessionare il destino dell'umanità.

     Certamente, nessuna potenza, nessun uomo di Stato ammetterà mai di voler progettare una guerra o prenderne l'iniziativa. Tuttavia, una diffidenza reciproca fa credere o temere che gli altri nutrano progetti o una volontà di questo tipo, in modo che nessuno sembra non ravvisare altra soluzione possibile, se non necessaria, che quella di preparare una forza di difesa sufficiente per rispondere a un eventuale attacco.

     3. Molti credono anche che una tale preparazione costituisca un cammino - volto a salvaguardare la pace, o almeno a impedire il più possibile, e nel modo più efficace, il verificarsi di conflitti, soprattutto di grandi conflitti che comporterebbero il supremo olocausto dell'umanità e la distruzione della civiltà che l'uomo ha laboriosamente conquistato nel corso dei secoli. Questa è ancora, come si vede, la «filosofia della pace» enunciata nell'antico detto romano: «Si vis pacem, para bellum». Tradotto in termini moderni, questa «filosofia» ha preso il nome di «dissuasione», e si è rivestita delle forme della ricerca di un «equilibrio di forze» che, talvolta, è stato chiamato, non senza ragione, «equilibrio del terrore». Come ha rilevato il mio predecessore Paolo VI: «La logica immanente nella ricerca di equilibri di forze spinge ciascuno degli avversari a tentare di assicurarsi un certo margine di superiorità, per paura di trovarsi in una situazione di svantaggio» («Discorso all'Assemblea generale dell'ONU, 24 maggio 1978: «Insegnamenti», XVI, [1978], 452).

     Così, praticamente, è facile la tentazione - e il pericolo sempre presente - di vedere che la ricerca di un equilibrio si trasformi in una ricerca di una superiorità tale da rilanciare in modo ancora più pericoloso la corsa agli armamenti. Ecco, in realtà, la tendenza che sembra continuare a prevalere oggi, e può darsi anche in modo più accentuato di prima. E voi vi siete proposti, come fine specifico di questa Assemblea, di ricercare come sarebbe possibile invertire questa tendenza. Questo fine può apparire ancora, per così dire, «minimalista», ma è di un'importanza fondamentale, perché solo una simile inversione può far sperare che l'umanità si impegni sulla via che porta al traguardo tanto desiderato da tutti, anche se tutti lo considerano sempre come una utopia: un disarmo totale, reciproco e completato da tali garanzie di un controllo effettivo che diano a tutti la fiducia e la sicurezza necessarie.

     Così, questa Sessione straordinaria riflette ancora un'altra constatazione. Insieme alla pace, il mondo desidera il disarmo. Il mondo ha bisogno del disarmo. Del resto, tutto il lavoro compiuto in seno al Comitato per il disarmo, in differenti commissioni o sotto-commissioni e in seno ai Governi, come l'attenzione prestata dall'opinione pubblica attesta l'importanza che si dà ai nostri giorni alla difficile questione del disarmo.

     La convocazione stessa di questa riunione porta in sé un giudizio: le nazioni del mondo sono già altamente armate e fin troppo impegnate in politiche che rafforzano questa tendenza. Implicitamente un tale giudizio include la convinzione che questa tendenza è sbagliata e che le nazioni del mondo impegnate in questo cammino hanno bisogno di ripensare alla loro posizione. Ma la situazione è complessa e numerosi valori - di cui certi di livello più alto - entrano in gioco. Si possono esprimere punti di vista divergenti. Bisogna dunque affrontare i problemi con realismo e onestà. E' per questo innanzitutto che io prego il Signore affinché vi accordi la forza di spirito e la buona volontà necessarie per adempiere al vostro compito e far avanzare quanto si può la causa della pace, fine ultimo di tutti i vostri sforzi durante questa Sessione straordinaria. Così dunque la mia parola è una parola di incoraggiamento e di speranza. Incoraggiamento a non lasciare che le vostre energie si indeboliscano a causa della complessità dei problemi o a causa degli insuccessi del passato o del presente. Parole di speranza perché noi sappiamo che solo gli uomini di speranza sono in grado di avanzare pazientemente e tenacemente verso le mete degne degli sforzi migliori e verso il bene comune.

     4. Può essere che ai nostri giorni, nessuna questione tocchi tanti aspetti della condizione umana come quella degli armamenti e del disarmo. Esso comporta aspetti scientifici e tecnici, aspetti sociali ed economici. Esso include anche gravi problemi di natura politica che toccano le relazioni tra gli Stati e i popoli. I nostri sistemi mondiali d'armamenti influenzano inoltre in larga misura lo sviluppo culturale. A coronare il tutto, intervengono le questioni spirituali che riguardano l'identità stessa dell'uomo e le sue scelte per il futuro e per le generazioni a venire. Offrendovi le mie riflessioni, ho presente allo spirito tutte queste dimensioni: tecniche, scientifiche, sociali, economiche, politiche e soprattutto etiche, culturali e spirituali.

     5. Dopo la fine della seconda guerra mondiale e l'inizio dell'era atomica, la Santa Sede e la Chiesa cattolica hanno avuto un atteggiamento molto chiaro. La Chiesa ha continuamente cercato di contribuire alla pace e alla costruzione di un mondo che non debba più ricorrere alla guerra per regolare le controversie. Essa ha incoraggiato a mantenere un clima internazionale di reciproca fiducia e di cooperazione. Ha appoggiato le strutture capaci di assicurare la pace. Ha ricordato gli effetti disastrosi della guerra. Nella misura in cui aumentavano i mezzi di distruzione omicida, ha rilevato i pericoli in cui si incorreva e, al di là dei pericoli immediati, ha indicato i valori da coltivare per sviluppare la cooperazione, la fiducia reciproca, la fraternità e la pace. Già nel 1946, il mio predecessore Papa Pio XII si riferiva alla «potenza dei nuovi strumenti di distruzione che riconducono il problema del disarmo al centro delle discussioni internazionali con aspetti completamente nuovi» («Discorso al Sacro Collegio dei Cardinali», 24 dicembre 1946: AAS 39 [1947] 13ss)).

     I Papi successivi e il Concilio Vaticano II hanno proseguito la riflessione adattandola al contesto dei nuovi armamenti e al controllo degli armamenti. Se gli uomini rivolgessero la loro attenzione su questo compito con buona volontà e avessero nel loro cuore e nei loro piani la pace come obiettivo, potrebbero essere trovate strutture adeguate elaborate per assicurare la legittima sicurezza di ciascun popolo nel reciproco rispetto e nella pace, e allora gli arsenali della paura e della minaccia di morte diventerebbero superflui. L'insegnamento della Chiesa cattolica è dunque chiaro e coerente. Deplora la corsa agli armamenti, domanda almeno una progressiva riduzione reciproca e verificabile così come le più grandi precauzioni contro i possibili errori nell'uso degli armamenti nucleari. Nel medesimo tempo, la Chiesa rivendica per ogni nazione il rispetto dell'indipendenza, della libertà e della legittima sicurezza.

     Desidero assicurarvi della costante preoccupazione della Chiesa cattolica e degli sforzi di cui essa non cesserà di dare prova finché gli armamenti non saranno interamente controllati, la sicurezza di tutti i popoli garantita e finché i cuori di tutti gli uomini non saranno guadagnati a scelte etiche che garantiranno una pace durevole.

     6. Vengo ora al dibattito che vi occupa, a proposito del quale bisogna in primo luogo riconoscere che nessun componente degli affari internazionali può essere considerato isolatamente e separatamente dai numerosi interessi delle nazioni. Ciononostante, un conto è riconoscere l'interdipendenza delle questioni, un altro è sfruttarle per trarne vantaggio su di un altro piano. Gli armamenti, le armi nucleari e il disarmo sono troppo importanti e in se stessi e per il mondo perché essi divengano semplicemente parte di una strategia che ne sfrutti l'importanza intrinseca in favore di una politica o di altri interessi.

     7. E' dunque importante constatare debitamente, con la prudenza e l'obiettività che esse meritano, ciascuna delle proposte serie volte a contribuire al disarmo reale ed a creare un clima migliore. Anche i piccoli passi hanno un valore che va al di là del loro aspetto materiale e tecnico. Quale che sia l'ambito considerato, noi abbiamo bisogno oggi di prospettive nuove e di disponibilità all'ascolto rispettoso e d'accoglienza attenta ai suggerimenti onesti di tutti coloro che si occupano con responsabilità di questioni così controverse.

     A questo proposito, emerge quello che chiamerei il fenomeno della retorica. Un ambito così teso e carico di inevitabili pericoli non può lasciare posto a specie di discorsi forzati o di posizioni provocatorie. Il compiacersi della retorica, del vocabolario infiammato e appassionato, delle minacce velate e delle controminacce e delle manovre sleali non può che esacerbare l'acutezza di un problema che richiede un esame sobrio e attento. D'altra parte, i Governi e i loro responsabili non possono condurre gli affari degli Stati indipendentemente dai desideri dei loro popoli. La storia delle civiltà ci offre esempi spaventosi di ciò che accade quando si tenta questa esperienza. E le paure e le preoccupazioni di numerosi gruppi nelle differenti parti del mondo rivelano che la gente è sempre più spaventata al pensiero di ciò che accadrebbe se degli irresponsabili provocassero una guerra nucleare. Così, un po' dovunque, si sono sviluppati movimenti per la pace. In numerosi paesi, questi movimenti, divenuti estremamente popolari, sono sostenuti da una parte crescente di cittadini di differenti strati sociali, di tutte le età e di diversa formazione, specialmente di giovani. I fondamenti ideologici di questi movimenti sono molteplici. I loro progetti, le loro proposte, le loro politiche variano grandemente e possono molte volte prestare il fianco a strumentalizzazioni di parte. Ma al di là di queste divergenze di forme, vi è un desiderio di pace profondo e sincero. Così non posso che associarmi al vostro progetto di appellarsi all'opinione pubblica perché nasca una vera coscienza universale dei terribili rischi della guerra, coscienza che produrrà a sua volta uno spirito di pace generalizzato.

     8. Nelle attuali condizioni, una dissuasione basata sull'equilibrio, non certamente come un fine in sé ma come una tappa sulla via di un disarmo progressivo, può ancora essere giudicata come moralmente accettabile. Tuttavia, per assicurare la pace, è indispensabile non accontentarsi di un minimo sempre minacciato da un reale pericolo di esplosione.

     Che fare allora? In assenza di una autorità sovranazionale quale è stata già auspicata da Papa Giovanni XXIII nella sua enciclica «Pacem in Terris» e che si era sperato di trovare nell'Organizzazione delle Nazioni Unite, l'unica soluzione realistica davanti alla minaccia di una guerra rimane ancora il negoziato. A questo proposito, amo ricordarvi una frase di sant'Agostino che già ho citato una volta: «Uccidi la guerra con le parole delle trattative, ma non uccidere gli uomini con la spada». Ancor oggi riaffermo davanti a voi la mia fiducia nella forza dei negoziati leali per pervenire a soluzioni giuste ed eque. Questi negoziati esigono pazienza e costanza e debbono in particolare mirare ad una riduzione degli armamenti che sia equilibrata, simultanea e internazionalmente controllata.

     Più precisamente ancora, l'evoluzione in corso sembra portare ad una crescente interdipendenza dei tipi d'armamenti. In queste condizioni come considerare una riduzione equilibrata, se i negoziati non coprono l'insieme delle armi? A questo proposito, il proseguimento dello studio del «programma globale di disarmo», che la vostra Organizzazione ha già intrapreso, potrà facilitare il necessario coordinamento dei diversi convegni e portare a risultati più veri, più equi ed efficaci.

     9. Infatti, le armi nucleari non sono i soli mezzi di guerra e di distruzione. La produzione e la vendita di armi convenzionali nel mondo sono un fenomeno realmente allarmante e, sembra, in piena espansione. I negoziati sul disarmo non potranno essere completi se essi ignoreranno il fatto che l'80 per cento delle spese per gli armamenti è riferito alle armi convenzionali. D'altra parte il loro traffico sembra svilupparsi ad un ritmo crescente e si orienta di preferenza verso i paesi in via di sviluppo. Ogni passo compiuto ed ogni cammino intrapreso per limitare questa produzione e questo traffico e sottometterlo ad un controllo sempre più efficace è un contributo significativo alla causa della pace.

     I recenti avvenimenti hanno confermato la potenza distruttiva delle armi convenzionali e le spiacevoli condizioni alle quali si condannano gli Stati tentati di ricorrervi per regolare le loro controversie.

     10. Ma la considerazione degli aspetti quantitativi degli armamenti tanto nucleari che convenzionali non è sufficiente. Un'attenzione del tutto particolare deve essere rivolta al loro perfezionamento perseguito grazie a nuove tecnologie tra le più avanzate, perché proprio qui si trova una delle dimensioni essenziali della corsa agli armamenti. L'ignorarlo condurrebbe a illudersi e a non offrire agli uomini desiderosi di pace che una falsa apparenza.

     La ricerca e la tecnologia devono sempre essere messe al servizio dell'uomo. Ai nostri giorni, troppo frequentemente se ne fa un uso ed un abuso per altri scopi. Rivolgendomi il 2 giugno 1980 agli uomini di scienza e di cultura dell'Assemblea dell'UNESCO, avevo ampiamente sviluppato questo tema. Ancora oggi mi sia permesso suggerire che almeno una percentuale non indifferente di fondi destinati alla tecnologia e alla scienza degli armamenti siano riservati allo sviluppo di meccanismi e di dispositivi che garantiscano la vita e il benessere dell'uomo.

     11. Nel suo discorso all'Organizzazione delle Nazioni Unite, il 4 ottobre 1965, Papa Paolo VI ha enunciato una profonda verità, quando dichiarò: «La pace non si costruisce solamente mediante la politica e l'equilibrio delle forze e degli interessi. Essa si costruisce con lo Spirito, le idee, le opere di pace». Le opere dello Spirito, le idee, i prodotti della cultura e le forze creative dei popoli sono destinate ad essere condivise. Le strategie di pace che rimangono a livello tecnico e scientifico, che determinano gli equilibri e verificano controlli non assicureranno una vera pace se non quando non si saranno creati e rafforzati dei legami tra i popoli. Stabilite dei legami che uniscano i popoli tra loro. Siate voi a fornire i mezzi che conducano i popoli a condividere le loro culture e i loro valori. Abbandonate tutti gli interessi meschini che abbandonano una nazione alla mercé di un'altra sul piano economico, sociale o politico.

     In questo medesimo spirito, i lavori di esperti qualificati che rilevano il rapporto tra disarmo e sviluppo meritano di essere studiati e seguiti dall'azione. Non è cosa nuova quella di considerare il trasferimento delle risorse finanziarie destinate allo sviluppo degli armamenti, verso lo sviluppo dei popoli, ma l'idea non perde per questo la sua attualità e la Santa Sede l'ha fatta sua da lungo tempo. Ogni risoluzione dell'Assemblea Generale in questo senso riceverà ovunque l'approvazione e l'appoggio degli uomini e delle donne di buona volontà.

     L'istituzione di legami tra i popoli significa la riscoperta e la riaffermazione di tutti i valori che rafforzano la pace e che uniscono i popoli nell'armonia, significa inoltre il rinnovamento di quanto c'è di meglio nel cuore dell'uomo, che è alla ricerca del bene degli altri nella fraternità e nell'amore.

     12. Vorrei aggiungere un'ultima considerazione: la produzione ed il possesso degli armamenti sono la conseguenza di una crisi etica che corrode la società in tutte le sue dimensioni: politica, sociale, ed economica. La pace, l'ho ripetuto più volte, è il risultato del rispetto dei principi etici. Il vero disarmo, quello che garantirà la pace tra i popoli, non avverrà se non con la risoluzione di questa crisi etica. Se gli sforzi per la riduzione degli armamenti, in vista del disarmo totale, non sono accompagnati parallelamente da una rinascita etica, sono votati in anticipo all'insuccesso.

     Il cercare di rimettere il nostro mondo nella prospettiva di eliminare la confusione degli spiriti generata dalla pura ricerca degli interessi e dei privilegi o dalla difesa di pretese ideologiche è il compito assolutamente prioritario se si vuole giungere ad un progresso nella lotta per il disarmo. Altrimenti si rimarrà nell'ambito di false apparenze. Poiché la vera causa della nostra insicurezza si trova in una crisi profonda dell'umanità, vale la pena grazie ad una sensibilizzazione delle coscienze nei riguardi dell'assurdità della guerra, creare condizioni materiali e spirituali che diminuiscano le disuguaglianze stridenti e che ridonino a tutti un minimo di spazio per la libertà di spirito. La convivenza di ricchi e di poveri non può più essere tollerata in un mondo in cui la comunicazione è tanto rapida quanto generalizzata, senza che nasca un risentimento che si tramuta in violenza. D'altra parte, lo spirito ha anche i suoi diritti primordiali e inalienabili, ed è perciò a giusto titolo che reclama, nei paesi in cui gli manca, lo spazio per vivere secondo le proprie convinzioni. Invito tutti coloro che combattono per la pace ad impegnarsi in questa lotta per l'eliminazione delle vere cause dell'insicurezza dell'uomo, di cui la terribile corsa agli armamenti è uno degli effetti.

     13. Invertire la tendenza attuale della corsa agli armamenti comprende dunque una lotta parallela su due fronti: da una parte, una lotta immediata ed urgente dei governi per ridurre progressivamente ed equamente gli armamenti, e d'altra parte, una lotta più paziente ma non meno necessaria a livello della coscienza dei popoli che si riferisca alla causa etica dell'insicurezza generatrice di violenza, alla conoscenza delle disuguaglianze materiali e spirituali del nostro mondo.

     Senza pregiudizi di alcun tipo, uniamo tutte le nostre forze razionali e spirituali degli uomini di Stato e dei cittadini, dei responsabili religiosi per uccidere la violenza e l'odio e ricercare cammini di pace. La pace è il fine supremo dell'attività delle Nazioni Unite. Essa deve esserlo anche per tutti gli uomini di buona volontà. Purtroppo, ancora ai nostri giorni, tristi realtà oscurano l'orizzonte della vita internazionale e causano tante sofferenze, distruzioni e preoccupazioni che potrebbero far perdere all'umanità ogni speranza d'essere in grado di dominare il proprio avvenire nella concordia e nella collaborazione dei popoli. Malgrado il dolore che pervade la mia anima, mi sento autorizzato, e persino obbligato, a riaffermare solennemente davanti a voi come davanti al mondo, ciò che i miei predecessori ed io stesso abbiamo ripetuto più volte in nome della coscienza, in nome della morale, in nome dell'umanità e in nome di Dio:

La pace non è un'utopia né un ideale inaccessibile, né un sogno irrealizzabile.
La guerra non è una calamità inevitabile.
La pace è possibile.
E proprio perché è possibile, la pace è un dovere. Un dovere molto grave. Una responsabilità suprema.
La pace è difficile, certamente, ed esige molta buona volontà, saggezza, tenacia. Ma l'uomo può e deve far prevalere la forza della ragione sulle ragioni della forza.
La mia ultima parola è dunque ancora una parola di incoraggiamento e di esortazione. E come la pace, affidata alla responsabilità dell'uomo, resta quanto meno un dono di Dio, essa si traduce anche in preghiera a colui che ha nelle sue mani i destini dei popoli. Vi ringrazio per l'attività che svolgete per far progredire la causa del disarmo: disarmo degli ordigni di morte e disarmo degli spiriti.
Che Dio benedica i vostri sforzi.
E che questa Assemblea possa rimanere nella storia come un segno di conforto e di speranza.

Dal Vaticano, 7 giugno 1982.

Brani vari
     E intanto, mi è caro rilevare il profondo legame che sussiste tra la Chiesa e l'Università. E noto a tutti che la Chiesa può, a buon diritto, dire di essere colei che, in un certo senso, ha dato origine a questa Istituzione: i nomi di Bologna, Padova, Praga, Cracovia e Parigi lo dimostrano. Tale origine ecclesiale dell'Università non può essere stata fortuita. Essa sembra anzi esprimere qualcosa di molto profondo. Ma perché la Chiesa ha bisogno dell'Università? e, a sua volta, perché l'Università ha bisogno della Chiesa? Sono domande che si affacciano subito al nostro spirito.

     Perché la Chiesa ha bisogno dell'Università? La ragione di tale bisogno pare doversi ricercare nella missione stessa della Chiesa. La fede, infatti, che la Chiesa annuncia, è una «fides quaerens ìntellectum»: una fede che esige di penetrare nella intelligenza dell'uomo, di essere pensata dall'intelligenza dell'uomo. Non giustapponendosi a quanto l'intelligenza può conoscere con la sua luce naturale, ma permeando dal di dentro questa stessa conoscenza. Perciò, come il mio predecessore Paolo VI — soprattutto nell'Esortazione Apostolica Evangelii nuntiandi — così anch'io in varie occasioni ho richiamato questa esigenza che ha la fede di divenire cultura.

     Ora, uno dei luoghi privilegiati nei quali questo incontro deve compiersi è l'Università. L'Università, infatti, fin dalle sue origini ed istituzionalmente, è preposta al conseguimento di una conoscenza scientifica della verità, di tutta la verità. Essa costituisce uno degli strumenti i fondamentali, che l'uomo ha voluto, per rispondere al suo bisogno essenziale di conoscenza. L'uomo è creato per questo. Lo ha sottolineato bene Dante nella Divina Commedia: «Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza» (inf/XXVI).

     Da ciò deriva che l'assenza della Chiesa dal mondo dell'Università costituisce un gravissimo danno per le sorti della religione nel mondo contemporaneo. Questa assenza causa estraneità perniciosa tra fede e cultura. A tale pericolo si è cercato di ovviare con le Università cattoliche, la cui finalità specifica è appunto di «effettuare una presenza, per così pubblica, costante ed universale del pensiero cristiano in tutto lo sforzo dedicato a promuovere la cultura superiore» (Dichiar. Gravissimum educationis, 10).

      Perché, inoltre, anche l'Università ha bisogno della Chiesa?

     Come ho già detto, lo scopo primario dell'istruzione universitaria è la ricerca, appassionata e disinteressata, della verità. È questa, infatti che facendo libera la persona, la rende «umana» nell'unico modo adeguato alla sua dignità, alla sua preziosità. Come, allora, non attirare l’attenzione soprattutto sulla ricerca della verità sull'uomo, che è al centro del travaglio universitario? La persona umana ha in se stessa un significato ultimo, da cui dipende sia il valore dell'esistenza personale che della vita in società.

     Non scaturisce proprio da queste considerazioni la ragione profonda per cui può dirsi che l'Università ha bisogno della Chiesa? La Chiesa è infatti la testimone di questa verità, di questo significato ultimo dell'uomo, perché è colei che deve annunciare Cristo, nel cui Mistero si svela completamente il mistero di ogni persona umana e di ogni realtà. L'assenza della Chiesa dall'Università può impedire che questa raggiunga il suo fine fondamentale: la conoscenza della verità nella sua intera misura. Se, dunque, non si stabilisce sempre più profondamente un legame fra la Chiesa e l'Università, è la persona umana stessa a subirne danno: né la fede genererà una cultura, né la cultura sarà pienamente umanizzante. All'interno della civiltà non si ricostruirà quell'alleanza con la Sapienza creatrice e redentrice, di cui oggi tutti avvertono — consapevolmente o inconsapevolmente — un urgente bisogno. Non si camminerà verso una civiltà della Sapienza e dell'Amore.

     C'è anche una seconda ragione, non meno importante, perché ci si impegni nella ricostituzione di un rapporto profondo fra Chiesa e Università. L’Università ha una finalità educativa: solitamente, anzi, è nell'Università che il giovane vive il momento educativo culminante, non solo cronologicamente, ma anche per importanza. Certamente l'Università svolge il suo ruolo pedagogico guidando lo studente all'acquisizione di un sapere rigoroso che gli consenta, più tardi, di esercitare adeguatamente la sua professione nella società. Ogni studente ha diritto di chiedere all'Università questa rigorosa e completa formazione scientifica: ogni forma di lassismo al riguardo, non solo danneggia il giovane, ma anche e assai gravemente la società. L'impegno educativo dell'Istituzione universitaria non può, tuttavia, limitarsi a questo aspetto, per così dire, «intellettualistico» della formazione; esso deve estendersi anche ai gravi problemi posti dalla sfera etica del giovane, che sta camminando verso la sua piena maturità umana. Tale maturità suppone l'armoniosa integrazione delle varie energie interiori, di cui è ricca la natura umana (volontà, affettività, istinti, ecc), in un superiore equilibrio, facente capo all'io personale. L'impresa non è facile.

     La verità e l'autentica scienza non li si devono mai aspettare da fattori aleatori; sono conquiste che devono essere fatte ricorrendo ai mezzi adatti, percorrendo le vie della serietà e dell'applicazione, continua, paziente e coordinata ricerca. Qui inoltre, l'oggetto della ricerca è l'uomo — l'ho delineato diverse volte — non si può mai perdere di vista la dimensione spirituale nella globalità della sua natura, a rischio di cadere in una visione depauperante dello stesso uomo. E, per il cristiano, significa nella sua ricerca, come nel suo insegnamento rifiutare ogni visione parziale della realtà umana e lasciarsi illuminare dalla sua fede nella creazione dell'uomo da parte di Dio e nella redenzione profetizzata da Cristo. Come è ben noto, la Chiesa, fedele al suo divin Fondatore, che indicò la verità come via della libertà (cfr. Gv 8, 32) ha sempre appoggiato le istituzioni che si dedicano all'insegnamento e alla ricerca della verità e della conquista del mondo tramite la scienza; si può perfino dire, in prospettiva storica, che le compete l'onorevole titolo di fondatrice delle università che, col passar del tempo, divennero famose e prototipi esemplari per simili istituzioni. Non c'è pertanto contraddizione tra la cultura e la fede. Anzi ci deve essere reciproco completamento per una visione globale e unitaria della realtà.

14/5/1982


     Mi appello a voi, agli uomini e alle donne di scienza dovunque si trovino, affinchè cerchino modi per applicare la loro ricerca in modo tale da rispettare la dignità personale, le legittime libertà e le convinzioni morali e religiose di uomini e di donne dovunque.

15/2/1982



     Ho avuto già altre volte l'occasione di affermare; e intendo ripeterlo qui, ora, che la Chiesa ha bisogno della cultura, così come la cultura ha bisogno della Chiesa. Scienza e fede devono rimanere collegate per il raggiungimento dell'obiettivo primario, che è la promozione umana, condizione indispensabile per assicurare lo sviluppo dei popoli e della civiltà. Sicché, come la Chiesa oggi non potrebbe rendere un servizio adeguato all'uomo, ignorando la scienza, cosi la scienza, se volesse ignorare la fede. La Chiesa staccata dalla scienza lascerebbe scoperti settori assai ampi e importanti dell'attività umana. La scienza senza la fede diventerebbe presto meno umanizzante.

21/5/1982


DISCORSO DEL SANTO PADRE IN OCCASIONE DEL GIUBILEO DEGLI SCIENZIATI

Giovedì, 25 maggio 2000

    Signori Cardinali, Cari Fratelli nell'Episcopato e nel sacerdozio, Cari Amici che rappresentate il mondo della scienza e della ricerca!

    1. Vi accolgo con gioia profonda in occasione del vostro pellegrinaggio giubilare. Ringrazio il Cardinale Paul Poupard, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, per le sue parole di benvenuto e per l'organizzazione di questo giubileo, con tutti i suoi collaboratori. Esprimo la mia viva gratitudine a Sua Eccellenza il Professor Nicola Cabibbo, Presidente della Pontificia Accademia delle Scienze, per l'omaggio che mi ha reso a nome di tutti voi. Nel corso dei secoli passati, la scienza, le cui scoperte sono affascinanti, ha occupato un posto determinante ed è stata a volte considerata come l'unico criterio della verità o come la via della felicità. Una riflessione basata esclusivamente su elementi scientifici aveva tentato di abituarci a una cultura del sospetto e del dubbio. Essa si rifiutava di considerare l'esistenza di Dio e di esaminare l'uomo nel mistero della sua origine e della sua fine, come se una simile prospettiva potesse rimettere in discussione la scienza stessa. A volte ha pensato che Dio fosse una semplice costruzione della mente incapace di resistere alla conoscenza scientifica. Simili atteggiamenti hanno portato ad allontanare la scienza dall'uomo e dal servizio che essa è chiamata a rendergli.

    2. Oggi, "una grande sfida ci aspetta... quella di saper compiere il passaggio, tanto necessario quanto urgente, dal fenomeno al fondamento. Non è possibile fermarsi alla sola esperienza;... è necessario che la riflessione speculativa raggiunga la sostanza spirituale e il fondamento che la sorregge" (Enciclica Fides et ratio, n. 81). La ricerca scientifica si basa anch'essa sulle capacità della mente umana di scoprire ciò che è universale. Questa apertura alla conoscenza introduce al significato ultimo e fondamentale della persona umana nel mondo (cfr Enciclica Fides et ratio, n. 81). I cieli narrano la gloria di Dio, e l'opera delle sue mani annunzia il firmamento" (Sal 18, 2); con queste parole, il salmista evoca la "testimonianza silenziosa" dell'ammirevole opera del Creatore, inscritta nella realtà stessa del creato. Coloro che sono impegnati nella ricerca sono chiamati a fare, in un certo senso, la stessa esperienza del salmista e a provare la stessa meraviglia. "È necessario coltivare lo spirito in modo che si sviluppino le facoltà dell'ammirazione, dell'intuizione, della contemplazione, e si diventi capaci di formarsi un giudizio personale, di coltivare il senso religioso, morale e sociale" (Gaudium et spes, n. 59).

    3. Basandosi su un'attenta osservazione della complessità dei fenomeni terrestri e seguendo l'oggetto e il metodo propri di ogni disciplina, gli scienziati scoprono le leggi che governano l'universo così come i loro rapporti. Stanno attoniti e umili di fronte all'ordine creato e si sentono attratti dall'amore dell'Autore di tutte le cose. La fede, da parte sua, è in grado di integrare e assimilare ogni ricerca, perché tutte le ricerche, attraverso una comprensione più profonda della realtà creata in tutta la sua specificità, donano all'uomo la possibilità di scoprire il Creatore, fonte e scopo di tutte le cose. "Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l'intelletto nelle opere da lui compiute" (Rm 1, 20). Approfondendo la sua conoscenza dell'universo, e in particolare dell'essere umano, che è il suo centro, l'uomo ha una percezione velata della presenza di Dio, una presenza che è in grado di discernere nel "manoscritto silente" che il Creatore ha iscritto nel creato, riflesso della sua gloria e grandezza. Dio ama farsi udire nel silenzio della creazione, nella quale l'intelletto percepisce la trascendenza del Signore del Creato. Quanti cercano di comprendere i segreti della creazione e i misteri dell'uomo devono essere pronti ad aprire la loro mente e il loro cuore alla verità profonda che ivi si manifesta e che "porta l'intelletto a dare il proprio consenso" (sant'Alberto Magno, Commento su Giovanni 6, 44).

    4. La Chiesa nutre grande stima per la ricerca scientifica e per quella tecnica, poiché "costituiscono un'espressione significativa della signoria dell'uomo sulla creazione" (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2293) e un servizio alla verità, al bene e alla bellezza. Da Copernico a Mendel, da Alberto Magno a Pascal, da Galileo a Marconi, la storia della Chiesa e la storia delle scienze ci mostrano chiaramente come vi sia una cultura scientifica radicata nel cristianesimo. Di fatto, si può dire che la ricerca, esplorando al contempo ciò che è più grande e ciò che è più piccolo, contribuisce alla gloria di Dio che si riflette in ogni parte dell'universo. La fede non teme la ragione. Esse "sono come le due ali con le quali lo spirito umano s'innalza verso la contemplazione della verità. È Dio ad aver posto nel cuore dell'uomo il desiderio di conoscere la verità e, in definitiva, di conoscere Lui perché, conoscendolo e amandolo, possa giungere anche alla piena verità su se stesso" (Enciclica Fides et ratio, introduzione). Se nel passato la separazione fra fede e ragione ha costituito un dramma per l'uomo, che ha corso il rischio di perdere la propria unità interiore sotto la minaccia di un sapere sempre più frammentato, oggi la vostra missione consiste nel proseguire la ricerca convinti che, "per l'uomo intelligente... tutte le cose si armonizzano e si accordano" (Gregorio Palamas, Theophanes). Vi invito, quindi, a chiedere al Signore di concedervi il dono dello Spirito Santo, in quanto amare la verità significa vivere dello Spirito Santo (cfr Sant'Agostino, Sermo, 267, 4), il che ci permette di avvicinarci a Dio e di chiamarlo a voce alta Abbà, Padre. Che nulla vi impedisca di invocarlo così, pur se immersi nel rigore delle vostre analisi delle cose che Egli ha posto dinanzi ai nostri occhi!

    5. Cari scienziati, grande è la responsabilità a cui siete chiamati. A Voi è chiesto di operare al servizio del bene delle singole persone e dell'intera umanità, attenti sempre alla dignità d'ogni essere umano e al rispetto del creato. Ogni approccio scientifico ha bisogno d'un supporto etico e d'una saggia apertura ad una cultura rispettosa delle esigenze della persona. Proprio questo sottolinea lo scrittore Jean Guitton quando afferma che nella ricerca scientifica mai si dovrebbe separare l'aspetto spirituale da quello intellettuale (cfr Le travail intellectuel. Conseils à ceux qui étudient et à ceux qui écrivent, 1951, p. 29). Egli ricorda inoltre che, per tale ragione, la scienza e la tecnica necessitano d'un rimando indispensabile al valore dell'interiorità della persona umana. Mi rivolgo con fiducia a Voi, uomini e donne che vi trovate nelle trincee della ricerca e del progresso! Scrutando costantemente i misteri del mondo, lasciate aperti i vostri spiriti agli orizzonti che spalanca davanti a Voi la fede. Saldamente ancorati ai principi ed ai valori fondamentali del vostro itinerario di uomini di scienza e di fede, potete tessere un proficuo e costruttivo dialogo anche con chi è lontano da Cristo e dalla sua Chiesa. Siate, pertanto, anzitutto appassionati ricercatori del Dio invisibile, che solo può soddisfare l'anelito profondo della vostra vita, colmandovi della sua grazia.

    6. Uomini e donne di scienza, animati dal desiderio di testimoniare la vostra fedeltà a Cristo! Il ricco panorama della cultura contemporanea, all'alba del terzo millennio, apre inedite e promettenti prospettive nel dialogo fra la scienza e la fede, come tra la filosofia e la teologia. Partecipate con ogni vostra energia all'elaborazione d'una cultura e d'un progetto scientifico che lascino sempre trasparire la presenza e l'intervento provvidenziale di Dio. Questo Giubileo degli scienziati costituisce, al riguardo, un incoraggiamento ed un sostegno per quanti sinceramente ricercano la verità; manifesta che si può essere rigorosi ricercatori in ogni campo del sapere e fedeli discepoli del Vangelo. Come non ricordare qui l'impegno spirituale di tante persone quotidianamente dedicate al faticoso lavoro scientifico? Attraverso Voi qui presenti, vorrei far pervenire ad ognuno di loro il mio saluto ed il mio più cordiale incoraggiamento. Uomini di scienza, siate costruttori di speranza per l'intera umanità! Iddio vi accompagni e renda fruttuoso il vostro sforzo al servizio dell'autentico progresso dell'uomo. Vi protegga Maria, Sede della Sapienza. Intercedano per Voi San Tommaso d'Aquino e gli altri Santi e Sante che, in vari campi del sapere, hanno offerto un notevole apporto all'approfondimento della conoscenza delle realtà create alla luce del mistero divino. Da parte mia, vi accompagno con costante attenzione e cordiale amicizia. Vi assicuro un quotidiano ricordo nella preghiera e di cuore vi benedico insieme alle vostre famiglie e a quanti, in vario modo, cooperano, con sincera e costante dedizione, al progresso scientifico dell'umanità.

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