Perché l’uomo fa scienza?

L’uomo da che è uomo, fin dal primo momento del suo apparire, fa scienza.

      La prima consapevolezza che lo prende è quella di sentirsi parte di una realtà che gli si rivela misteriosa, e poi guardando dentro di sé si accorge di una realtà altrettanto misteriosa: si accorge di poter pensare, di poter usare delle cose per farne altre, dalle pietre ricava delle punte utili per tagliare o per disegnare sulla parete della caverna una scena di caccia. E' chiaro che qui scienza è intesa nella sua accezione più larga come curiosità del mondo che lo circonda, ma una curiosità che lo apre ad affrontare la realtà cercando attraverso la sua capacità di pensiero e di immaginazione di capire come funzionano le cose (scienza teorica) e di iniziare ad usarle per degli scopi pratici legati a migliorare la sua vita (scienza applicata=tecnologia).

    Lungo i millenni la sua storia procede lentamente, fino ad arrivare a circa 2500 anni fa, quando, nell'antica Grecia un manipolo di uomini eccezionali fanno fare un grande balzo alla conoscenza umana. Un nome su tutti: Aristotele.

Hegel sostiene che Aristotele «è uno dei più ricchi e profondi geni scientifici che siano mai esistiti, un uomo cui nessuna età può porre a fianco l'eguale». Infatti, egli ha portato lo sguardo su tutte le cerchie delle rappresentazioni umane, è penetrato in tutte le pieghe dell'universo reale: la maggior parte delle scienze filosofiche debbono a lui il loro carattere distintivo e il loro inizio». Secondo Diogene Laerzio, «fu instancabile nello studio e fecondo di invenzioni». Per Tommaso e nel Medioevo egli è semplicemente il «Philosophus», e per Dante «maestro di color che sanno»).


     La più articolata e influente teoria della conoscenza è quella di Aristotele: essa si estende dal IV sec.. al XVII sec. circa (fu Galileo ad esempio, che con il suo genio mise in discussione l'idea aristotelica della proporzionalità fra forza e velocità): mai nessun altro uomo ha avuto un così potente influsso nell'umano pensiero. Dopo il decadimento della cultura greca si deve alla certosina opera dei monaci se tutto lo studio dei suoi filosofi fu preservata dall'oblio, le abbazie e i conventi furono i veri centri culturali che trascrivendo in latino le opere dei greci tramandarono all'occidente i preziosi testi, inserendoli nella nuova visione del mondo offerta dal Cristianesimo.

      La scienza moderna o Galileiana nasce nel Seicento per l'appunto con Galileo - sul substrato di tutta la tradizione trasmessa dal Medioevo - (si legga il bel libro di Zichichi “Galilei: Divin Uomo”), e raggiunge la sua sistemazione teorica con Netwton nel secolo XVIII, e poi fino a tutto il XIX secolo non è altro che un susseguirsi di scoperte e di successi del nuovo paradigma scientifico (1) nel capire come funziona la natura.

    Tale successo fu talmente eclatante che nel 1890 lord Kelvin, massimo rappresentante della scienza britannica, in una conferenza alla Royal Society affermava che la scienza ha ormai raggiunto tutti i suoi obiettivi e che nel XX secolo non ci sarebbe rimasto altro che sistemare alcuni dettagli, salvo due nuvolette all’orizzonte: l’emissione del corpo nero che sembrava dovesse emettere un’energia infinita e lo strano esperimento di Michelson per il quale sembrava che la velocità della luce non risentisse del moto della terra: da queste due “nuvolette” nasceranno la fisica moderna o quantistica e la teoria della relatività! Aprendo così nuove prospettive di conoscenza sempre più sottile e profonda (complicata da una matematica veramente difficile da manovrare e da intendere). Ma ora come allora il ricercatore è mosso dallo stupore della comprensibilità della natura, come diceva Einstein (ciò che è incomprensibile dell’universo è la sua comprensibilità) e continua a fare scienza semplicemente perché è curioso di capire sempre più a fondo le leggi della natura e questa sua curiosità è innata nella sua natura che reputa ordinata e razionale e degna di essere studiata.

     (1) Il nuovo paradigma scientifico, il nuovo modo di studiare la natura che si dovrà basare secondo Galilei sulle “sensate esperienze” e “certe dimostrazioni” che dovranno accordarsi fra loro (è qui la novità: i dati dell’esperienza devono essere suffragati da una appropriata teoria fisica basata sulla matematica) è nuovo rispetto alla tradizione scolastica nei seguenti punti:

     a) Non si fa più distinzione di essenza fra corpi naturali e corpi artificiali;

     b) La natura viene interrogata – si fanno esperimenti – in condizioni artificiali: l’esperienza della quale parlano gli aristotelici è quella dei fenomeni osservabili quotidiani, per così dire non manomessi dall’uomo, mentre Galilei inventa degli strumenti osservativi (piano inclinato, pietre legate a dei fili, ecc) per tenere sotto controllo più facilmente le grandezze in gioco e così poterle studiare meglio. Si afferma che l’esperienza è predominante sulla disputa. Quel che viene fuori dall’osservazione è più importante di quello che ne pensavamo.

     c) Si comprende in modo acuto con Galilei che è la matematica la lingua con cui parla la natura, per cui su di essa si dovrà basare ogni “certa dimostrazione”. Cioè ogni tentativo di spiegazione di un dato fenomeno dovrà utilizzare la matematica, in quanto le relazioni fra le grandezze sono di tipo quantitativo.


Giancarlo Buccella

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