Ragione e scienza

Riporto un bellissimo spunto, tratto da “Solo lo stupore conosce”, circa il ruolo dello stupore verso la natura come genesi dell’attività dello scienziato di ogni tempo.


     Il mondo che lo scienziato osserva e indaga, anzitutto esiste: non si tratta di un 'illusione né di un sogno a occhi aperti. Chi ha provato la sfida della ricerca sa bene che la natura non obbedisce alla sua fantasia. Lo scienziato se ne rende ben conto quando le risposte tardano a venire dai suoi esperimenti, oppure quando intuisce, dopo molta fatica, il punto di vista che gli consente finalmente di intravedere un barlume del rapporto che lega tra loro i fattori di un problema.

      Accorgersi della presenza delle cose è la prima e fondamentale azione dell'uomo che conosce: è da questa strana passività che nasce la curiosità, nascono le domande, il desiderio della ricerca. Forse per questo al fondo di ogni grande scienziato c'è qualcosa che, come in un bambino, mantiene i suoi occhi spalancati e assetati di realtà. L'esistenza delle cose è oggetto di un riconoscimento, non di dimostrazione. E questo può forse spiazzare la nostra mentalità, portata ancora a dare valore solo a ciò che è dimostrabile, come se l'unica conoscenza credibile fosse quella di tipo matematico. Eppure anche un grande logico come Wittgenstein non poteva esimersi dal riconoscere che «una esperienza è tale che quando la provo mi meraviglio dell'esistenza del mondo. E allora sono incline a usare frasi quali "com'è straordinario che esista qualcosa", o "com'è straordinario che il mondo esista"». Questo stupore per l'esistenza è la condizione per un incontro autentico con le cose e spalanca la possibilità della conoscenza. Se infatti ci domandiamo cosa muove il ricercatore verso la ricerca, dobbiamo ammettere che la sua ragione è messa in moto da un 'attrattiva che la realtà esercita su di lui. Ma l'origine di questa attrattiva non è immediatamente il fatto che egli può «misurare», «dividere» le cose, ma il fatto semplice e vertiginoso che la realtà c'è. È lo stupore per il fatto chele cose ci sono. È uno stupore che non si arresta in un sentimento estetico, non si riduce a una curiosità momentanea, ma è l'inizio di un processo, accende il desiderio di entrare in rapporto con il mondo, di conoscerlo. Lo stupore accompagna ogni passo: ogni passo della ricerca infatti è un inizio.

     La ragione umana è innanzitutto provocata, commossa dall'esserci della realtà. La prima mossa che la ragione accusa è la pura presenza delle cose («guarda le stelle!»). Ma la capacità di stupore diventa feconda anche dal punto di vista strettamente scientifico. Anzitutto rende lo scienziato più attento, perché tutto spalancato sui dati della realtà, proteso a interagire con essa, a lasciarsi provocare e quindi a rispondere mettendo in campo tutta la propria capacità razionale. È fondamentale per uno scienziato apprezzare la bellezza della natura che sta studiando, essere attratto dal senso di ordine e dalle regolarità che percepisce in essa. Lo scienziato viene così indotto ad accogliere tutto il dato ed è quindi messo in condizione di cogliere la realtà in tutte le sue espressioni, in tutte le sue sfaccettature; fino agli aspetti quantitativi, che aiutano a decifrare i fenomeni e a risalire razionalmente alle cause.

     La curiosità quantitativa («quante sono le stelle?») si appoggia interamente su questa percezione del reale come dato e sullo stupore che ne deriva. La domanda quantitativa, che caratterizza il metodo della scienza, nasce come un particolare modo espressivo di quello stupore originale. L'aspetto «misurabile» è un carattere parziale, selezionato del reale: evidentemente, vi è molto di più al mondo di ciò che si può dividere e misurare. La ricerca scientifica ha la sua specificità nel fatto che essa procede ponendo domande «quantitative», che si rivolgono alla componente misurabile della realtà. Tuttavia ciò che muove la ricerca e l'energia di chi vi si impegna non nascono da una capacità logico-deduttiva, ma da una energia affettiva: quella che rende l'uomo «amante dell'essere», desideroso di conoscere la realtà e interessato al suo possibile significato.

     E’ interessante sentire cosa dicono tre importanti protagonisti della scienza.
    
RICHARD FEYNMAN
     La stessa emozione, la stessa meraviglia e lo stesso mistero, nascono continuamente ogni volta che guardiamo a un problema in modo sufficientemente profondo. A una maggiore conoscenza si accompagna un più insondabile e meraviglioso mistero, che spinge a penetrare ancora più in profondità. Mai preoccupati che la risposta ci possa deludere, con piacere e fiducia solleviamo ogni nuova pietra per trovare stranezze inimmaginabili che ci conducono verso domande e misteri ancora più meravigliosi - certamente una grande avventura!

Richard Feynman, «The Value of Science», in Frontiers in Science: A Survey, a cura di E. Hutchings, Basic Books, New York 1958.

     La capacità di stupirsi, di meravigliarsi di fronte alla natura come qualcosa di «dato» e di «misterioso», è identificata da Einstein come «la» caratteristica fondamentale dello scienziato. Caratteristica che lo accomuna all'artista, anch'egli impegnato nel gioco senza calcolo della ricerca del vero e dell'espressività.

ALBERT EINSTEIN
     La più bella e profonda emozione che possiamo provare è il senso del mistero. Sta qui il seme di ogni arte, di ogni vera scienza. L'uomo per il quale non è più familiare il sentimento del mistero, che ha perso la facoltà di meravigliarsi e umiliarsi davanti alla creazione è come un uomo morto, o almeno cieco [...]. Nessuno si può sottrarre a un sentimento di reverente commozione contemplando i misteri dell'eternità e della stupenda struttura della realtà. È sufficiente che l'uomo tenti di comprendere soltanto un po' di questi misteri giorno dopo giorno senza mai demordere, senza mai perdere questa sacra curiosità...

Denis Brian, Einstein: A Life, Wiley, New York 1996, p. 234.

     La meraviglia non è affatto circoscritta e delimitata dall'avanzare della conoscenza, come comunemente si pensa. Anzi, l'accadere stesso della conoscenza è motivo di una ulteriore meraviglia. È come se il procedere della nostra capacità di descrivere scientificamente la natura accrescesse inesorabilmente la percezione del carattere inesaurìbile del reale.

CARLO RUBBIA
     Molte volte ho già detto questa cosa ma mi fa molto piacere ripeterla. Quando noi guardiamo un fenomeno fisico particolare, ad esempio una notte piena di stelle, ci sentiamo profondamente commossi, sentiamo dentro di noi un messaggio che ci viene dalla natura, che ci trascende e ci domina. Questa stessa sensazione di stupore, di meraviglia, di rispetto che ciascuno di noi prova di fronte a una manifestazione naturale, lo specialista, il ricercatore che vede l'interno delle cose lo sente ancora più forte, molto più intenso. La bellezza della natura, vista dall'interno e nei suoi termini più essenziali, è ancora più perfetta di quanto appaia esternamente; l'interno delle cose è ancora più bello che l'esterno, quindi io non sento né sgomento né paura. Sento la curiosità e mi sento onorato di poter vedere queste cose, fortunato, perché la natura è effettivamente uno spettacolo che non si esaurisce mai.

Carlo Rubbia, «Alla ricerca dell'infinitamente piccolo», intervento al Meeting di Rimini, 29 agosto 1987, in II libro del Meeting '87, Meeting per l'amicizia fra i popoli, Roma 1987, pp. 223-228.



Tratto da “Solo lo stupore conosce” di M. Bersanelli e M. Gargantini; Ed. BUR

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